Aldo Durante
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Storie di calzolai

  I primi documenti sull’artigianato della calzatura nel montebellunese risalgono agli inizi dell’Ottocento. Il “Quinternetto delle Arti e del Commercio” del 1808 riporta il nome di 10 calzolai tenuti a pagare otto lire d’imposta.
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Artigiani e Commercianti nel 1808

Morosini Federico

Ricevitore Comunale

Dal Colle Domenico

Esercente Filanda

Sanson Lorenzo

Sensale di Granaglie

Serena Gio Batta

Sensale di Granaglie

Mora Pietra

Sensale di Granaglie

Morello Domenico

Sensale di Animali

Monchera Antonio

Sensale di Animali

Basso Domenico

Sensale di Animali

Tesser Gio Maria

Sensale di Animali

Zen Angelo

Sensale di Animali

Massimo Antonio

Sensale di Animali

Pellizzari Polidoro

Sensale di Animali

Monchera Valentin

Sensale di Animali

Severin Giuseppe

Sensale di Animali

Grigolatto Gio.Maria

Sensale di Animali

Zen Antonio

Sensale di Animali

Cavarzan Giovanni

Sensale di Animali

Tessariol Antonio

Sensale di Animali

Battaglia Sebastiano

Sensale di Animali

Faccin Pietro

Sensale di Animali

Menegon Angelo

Sensale di Animali

Severin Angelo

Sensale di Animali

Zen Matteo

Sensale di Animali

Guolo Andrea

Sensale di Animali

Arman Giovanni

Sensale di Animali

Rigato Giovanni

Sensale di Animali

Bedin Giovanni

Sensale di Animali

Chiaro Francesco

Sensale di Animali

Robazza Gaetano

Mercante di Animali

Pellizzari Antonio

Mercante di Animali

Torresan Antonio

Mercante di Animali

Robazza Antonio

Mercante di Animali

Corrente Giovanni

Mercante di Animali

Torresan Valentin

Mercante di Animali

Pellizzari Valentin

Mercante di Animali

Battaglia Bortolo

Mercante di Animali

Robazza Antonio

Mercante di Animali

Robazza Francesco

Mercante di Animali

Stin Tommaso

Mercante di Animali

Tessariol Paolo

Mercante di Animali

Morelatto Angelo

Mercante di Animali

Mazzocato Osvaldo

Mercante di Animali

Severin Vincenzo

Mercante di Animali

Innocente Antonio

Mercante di Animali

Calzamatta Giuseppe

Mercante di Animali

Bonetto Pietro

Mercante di Animali

Corato Angelo

Mercante di Animali

Pellizzari Domenico

Mercante di Animali

Lorenzon Giacomo

Venditore al minuto

Petris Giuseppe

Tessitore

Petris Giovanni

Tessitore

Sacol Antonio

Battirame

Polin Steffano

Comerciante in rame

Visentin Sebastiano

Venditore di vetri

Marcolin Pietro

Venditore vasi di terra

Bessegato Francesco

Carraro

Bettamin Gio:Batta

Carraro

Pivetta Innocente

Marangone

Dalla Riva Bernardin

Zoccolajo

Innocente Innocente

Bottajo

Marcolin Pietro

Carraro

Vendramini Antonio

Carraro

Gobbatto Giovanni

Carraro

Corato Francesco

Marangone

Possagno Angelo

Marangone

Zane Pietro

Bottajo

Martini Angelo

Marangone

Zanaradi Antonio

Fabbro

Piovesan Antonio

Sarte

Cavarzan Natale

Sarte

Bettamin Bortolo

Fabbro

Speronello Antonio

Calzolajo

Gandini Giuseppe

Calzolajo

Mattiel Gio Antonio

Calzolajo

Bortolan Giuseppe

Calzolajo

Miotto Filippo

Sarte

Pivetta Osvaldo

Calzolajo

Michielin Antonio

Sarte

Battaglia Antonio

Fabbro Ferrajo

Rigato Angelo

Calzolajo

Battaglia Sebastaiano

Fabbro Ferrajo

Cecchetto Antonio

Fabbro

Sartorelli Liberal

Calzolajo

Gusella Antonio

Sarte

Pagnan Valerio

Calzolajo

Conte Giacomo

Sarte

Quadrio Innocente

Sarte

Cima Pietro

Calzolajo

Speronello Antonio

Fabbro

Pellizzari Giovanni

Fabbro

Zene Francesco

Sarte

Bolzonello Antonio

Sarte

Favero Giuseppe

Barbiere

Vido Gio.Maria

Barbiere

Marconato Bortolo

Oste

Speronello Antonio

Oste

Pilin Angelo

Salsamentario

Visentin Lucia

Salsamentario

Cipriani Angelo

Salsamentario

Conte Giovanni

Salsamentario

Visentin Marco

Bettoliere

Robazza Antonio

Bettoliere

Pizzuti Giovanni

Bettoliere

Garbuggio Liberal

Bettoliere

Pivetta Angelo

Bettoliere

Paolo Vendramini

Bettoliere

Marconato Antonio

Bettoliere

Pivettta Antonio

Macellajo

Dal Colle Domenico

Venditore di droghe

Guselotto Angelo

Mercante di granaglie

Carretta Girolamo

Mercante di granaglie

Baggio Antonio

Mercante di granaglie

Gusella Gasparo

Mercante di granaglie

Minotto Giovanni

Mercante di granaglie

Zamprogno Domen

Mercante di granaglie

Dal Colle Domenico

Prestinajo

Pellizzari Antonio

Prestinajo

Visentin Andrea

Mugnajo

Pellizzari Tommaso

Mugnajo

Ceberlotto Gaetano

Mugnajo

Caberlotto Girolamo

Mugnajo

Bortolan Gio:Batta

Mugnajo

(Fonte: Museo dello Scarpone)

La bottega è costituita da una stanzetta in cui il calzolaio (“el scarpèr”) lavora al deschetto, coadiuvato da un lavorante o due, e confeziona a mano le scarpe, utilizzando strumenti immodificati da generazioni.
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Il maestro calzolaio, (al centro della foto); a destra: il lavorante; a sinistra: il giovane apprendista. Le donne sono presenti solo per ragioni fotografiche.
Gli strumenti principali del calzolaio
  • Il martello (el martel).
  • Le tenaglie (e tenaie).
  • La lesina (a subia): ferro ricurvo e aguzzo con piccolo manico di legno, tornito. Serve per praticare i fori nel cuoio e nella pelle.
  • Le pinze per occhielli (e pinse): pinze con una bocca a forma di ruota dentata. Servono per “bocchettare” gli occhielli nel cuoio.
  • Il trincetto (el cortèl): consiste in una lama d’acciaio un po’ curva, appuntita e tagliente. Serve per tagliare il cuoio e rifilarlo.
  • Il punzone (el spunciòt): robusto pezzo d’acciaio con una testa sulla quale si può picchiare col martello. Serve per praticare buchi 
  • Il bisegolo (el biasegol): arnese di bosso (legno molto duro) con un’estremità leggermente a campana. Serve per levigare e lucidare le suole e i tacchi.
  • La liscia (a lissa): strumento di legno simile al bisegolo. Serve per lucidare il cuoio.
  • Le bullette (i ciodin): chiodi corti a larga capocchia. Per usi vari.
  • Il marcapunti (el marcapunti): rotellina dentata imperniata in un manico. Serve per segnare i punti sulla suola, vicino alla tomaia.
  • Il tirasuole (el tirasioe): striscia di cuoio con due impugnature di legno. Serve per stendere e pressare le suole.
Come il contadino, il calzolaio non conosce innovazioni tecnologiche. Le operazioni per fabbricare una scarpa sono definite da una tradizione secolare.
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La lesina (a subia)
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Il trincetto (el cortel)
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Tirondana
Le fasi del lavoro

1 - Sulla carta viene ritagliato il modello della scarpa (camicia)
2 - Con il trincetto si taglia un pezzo di pelle: la tomaia (tomèra)
3 - Orlatura: la tomaia viene “scagliata” e i pezzi che la costituiscono uniti assieme
4 - Montaggio: sulla forma si applica il sottopiede (la sottana)
5 - Si applica il rinforzo posteriore (forte) e quello anteriore (puntale)
6 - La tomaia viene attaccata alla forma con i chiodini
7 - Cucitura o solettatura: viene applicato il guardolo
8 - Si applica la suola (messa in suola) che viene cucita a mano o inchiodata, alternando i punti con quelli del guardolo
9  - Viene applicato il tacco
10 - Rifinitura:
    a) con la raspa per sgrossare
    b) con il vetro per rifinire
    c) con il bisegolo per lucidare.
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Tagliatore
L’assortimento è limitato: dalmare, gallozze, zoccoli di legno, scarpe da boscaioli (senza tacco e con lunghi chiodi per ancorarle al terreno scivoloso del sottobosco) scarpe in cuoio da festa e qualche paio di stivali. In una giornata, lavorando sodo, un calzolaio è in grado di produrre un paio di scarpe di cuoio.

Le gallozze o galloscie, o sgialmare, erano le calzature più in uso presso le popolazioni contadine, in quanto rispondevano alle loro esigenze di economia, igiene, robustezza e comodità. Adattissime per quei terreni e quei lavori per i quali altri tipi di calzature avrebbero poca vita.
L’etimologia del nome ricorda forse un’antica calzatura portata dai Galli.
La gallozza era formata da un fusto di legno dello spessore di 2/3 centimetri, ricoperto tutt’intorno e sulla parte anteriore in cuoio. Il tacco piuttosto alto permetteva di slanciare la figura.
Costo medio di una gallozza per il solo fusto e per la copertura in cuoio:
per uomo: da L. 0,70; e coperto di tomaia: L . 2,50
per donna: da L. 0,60; e coperto di tomaia: L. 1,25
per bambino: da L. 0,60; e coperto di tomaia: L. 1,00
Durata media di una gallozza usata quotidianamente: da 5 a 6 mesi. Avevano durata più lunga quanto meglio erano imbroccate sotto il fusto con brocche apposite da gallozza, caratterizzate da una capocchia molto larga appuntita e da una gamba corta.
(Fonte: Le calzature dei contadini veneti - Collana di storia montelliana)


Ogni calzolaio ha uno stile inconfondibile. Realizzata completamente a mano, ogni scarpa ha delle caratteristiche che la differenziano da bottega a bottega.
Nei giorni di mercato, il mercoledì a Montebelluna, il sabato ad Asolo, ed eventualmente in altri mercati della Provincia, gli artigiani espongono su una “panca volante” i prodotti del loro lavoro.
Un documento dell’Archivio Comunale che racconta un piccolo giallo ed apre uno scorcio sulla vita dei calzolai montebellunesi nella metà del secolo scorso.

Per aver precise notizie sul fatto denunciato dal capo della Squadra di sicurezza stazionata ad Asolo . . . questa Deputazione Comunale si fece carico di interrogare il calzolajo Bonsembiante Gio.Battista di Antonio il quale dichiarò, che nella mattina del 4 corrente egli trovandosi nel mercato di Asolo a vendere scarpe sopra una panca volante come è solito fare tutti li giorni di Sabbato, e che, stando alla stessa Panca vidde passare a qualche distanza un giovane di S.Vito di Asolo con un paio di scarpe, che gli sembravano di sua fabbrica; che lo seguì e raggiuntolo in prossimità dell’osteria del signor Sebastiano Freccia, gli ricercò dove avesse acquistato quelle scarpe, che desso gli indicò una Panca ch’era sopra il mercato; che allora si avvicinò con quel giovane a quella panca ch’era di Angela Marconato, vedova del defunto Francesco Bortolan di questa comune, e ricercò alla stessa se avesse ella venduto quel paio di scarpe, al che rispose affermativamente; che sopraggiunto in quell’istante il figlio di essa vedova nomato Abdenigo confessò di averle acquistate da certo Giuseppe Massimo detto Gambatte di Montebelluna che trovasi con Panca sopra quel mercato a vendere limoni.
Allora il Bonsembiante in unione al Bortolan si recò alla Panca del Massimo, e gli fece ricerca da chi avesse acquistate quelle scarpe, ed il Massimo bruscamente gli rispose, che non sapeva; che a tale risposta egli andò in traccia di una guardia di sicurezza, e, rinvenutala la informò del fatto e consegnò le scarpe; che la guardia si recò tosto colle scarpe alla Panca del Massimo, ed interrogatolo da chi avesse fatto acquisto delle scarpe, confessò di averle acquistate da certo Giovanni Robazza del fu Pietro detto dei Noni lavorante del calzolajo Bonsembiante.
Rese in seguito ostensibili al Bonsembiante le scarpe pervenute da Asolo ebbe egli ad osservare che mancavano di balzanette, e di stringhe delle quali erano fornite allorchè le consegnò alla guardia, e che questa mancanza può portare a qualche mala conseguenza; poichè le scarpe al momento che vennero fabbricate erano fornite di balzanette nere grandi, e di stringhe pur nere e lunghe, e al momento che furono consegnate alla guardia erano invece fornite di balzanette picciole, e di stringhe corte e bianche, che non sa comprendere come e da chi possano essere state levate le balzanette e le stringhe.
Queste sono le nozioni, che in proposito la scrivente ha potuto ritrarre,e che subordina a codesto Regio Commissariato Distrettuale per ulteriori disposizioni ritornando il comunicato in unione alle scarpe.
(Lettera all’Imperial Regio Commissariato Distrettuale di Montebelluna)

(Fonte: A.M.M. Polizia - 1846)
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1930: Gallozze
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Calzolai
Quello del calzolaio è un mestiere decoroso per il titolare della bottega e nello stesso tempo, secondo l’opinione delle Autorità, permette anche al lavorante di mantenere una famiglia.

Giuseppe Gobbato di Angelo, Calzolajo è un giovane di buona indole, di buona condotta e fornito di mezzi sufficienti per mantenere la moglie nel caso, che dovesse incontrare un matrimonio.
(Fonte: A.M.M., Polizia - 1842).


Caterina Dalbon vedova del fu Gaetano Pivetta detto Tirondana aveva tre figli dei quali uno infermo, uno inetto ad ogni guadagno, ed uno di anni 17 era forte e robusto per nome Luigi, egli esercita il mestiere di calzolaio dal quale mestiere ritrae centesimi 50 per ogni giorno di effettivo lavoro.
L’unico quindi che potesse sussidiare la Vedova sua madre sarebbe quest’ultimo, ma invece è quello che la insulta continuamente, che la maltratta, e che invece di sussidiarla, le consuma anche quel poco, che coll’industria o col lavoro s’impegna di guadagnare.
(Fonte: A.M.M. Polizia - 1842)


Per arrotondare lo stipendio, il calzolaio può svolgere anche altri lavori, come Sartor Ambrogio, che si dedica anche alla bachicoltura.

Sartor Ambroggio del fu Sante Calzolajo in Posmon tenne dei bacchi da seta in società con certo Pietro Morello del fu Domenico detto Pruotto suo vicino. La quantità di questi bacchi presagiva un raccolto di bozzoli del peso di libbre cento, ma l’esito non corrispose e solo libbre settantotto di bozzoli vi ricavarono. Diviso il ricavato il Morello, che aveva sperato un raccolto di libbre cento, e vedendo che sole libbre settantotto ricavarono cominciò ad imputare la deficienza al Sartor, esternando anche nella Bottega del Calzolajo Antonio Bortolan in Visnà alla presenza dei lavoranti Vincenzo Calzamata, ed Antonio Tonello, che il Sartor gli aveva derubato libbre ventidue di bozzoli, e che nel giorno successivo allo smercio fatto dal Sig. Gio. Batta Breda si era recato a vendere le dette libbre ventidue di bozzoli a Fanzolo nella Osteria Boschieri.
Trovandosi quindi leso il Sartor nell’onore domanda che venga istituita regolare procedura e che risultando dalla investigazione che si andranno ad estendere, la sua innocenza, venga il Morello punito a stretto rigore di legge.
(Lettera della Deputazione Comunale di Montebelluna alla Regia Pretura - 18 luglio 1844)
(Fonte: A.M.M. Polizia - 1844)


La bachicoltura però non viene seguita razionalmente. I locali riservati ai bachi sono le cucine, cioè ambienti ristretti e fumosi; inoltre il nutrimento - le foglie di gelso - è male distribuito tanto che, spesso, i bachi soffrono la fame.

Per quanto il sottoscritto è in cognizione quel Menegon Antonio di Valentino di cui fa ricerca la R.Pretura colla Nota 17 andante N° 2116 è un uomo di buona condotta morale e politica. Egli vive disgiunto dalla sua famiglia, ma non è dalla stessa separato, e quindi volendo potrebbe alla stessa che trovasi ben provveduta riscotere la porzione a lui spettante. E’ solo, ed esercita il mestiere del calzolajo, e di Cameriere di osteria nei giorni di Mercato,e col prodotto di tali mestieri può benissimo mantenere la moglie,ove si congiungesse in matrimonio. Per quello riguarda poi la convenienza del matrimonio, che sta per contrarre con Maria Ernesta Bolzonello, il sottoscritto non trova che vi possa essere alcun ostacolo.

In un’epoca in cui molti rubano per sopravvivere, “ladro” è uno degli insulti più comuni e offensivi.

Presentossi questa mane all’Officio Comunale Michielin Lorenzo, Calzolajo in questa Comune e riferì, che Garbujo Gio. Antonio del fu Liberale possidente domiciliato pure in questa Comune ebbe la temerità d’imputarlo di avergli derubato una trappola da topi di ferro, ed una sega.
Per testimonj egli allega Severin Antonio del fu Vincenzo Negoziante di cavalli, e possidente, e Garbujo Catterina moglie di Giuseppe Beghetto ambo di questa Comune.
Insta quindi il Michielin, che contro il Garbujo venga istitutita regolare procedura, e che venga obbligato a restituirgli il suo onore, e punito a senso di legge.
 Lettera della Deputazione all’I. R. Pretura in Biadene - 16 ottobre 1844)
(Fonte: A.M.M. Polizia 1844)


Il centro della vita sociale è la bettola, luogo di clamorosi litigi.

Presentossi questa mane all’Officio Deputativo Conte Francesco di Giovanni, Calzolajo, dimorante in Pieve, e riferì, che Rigato Francesco detto Gingi ebbe la temerità d’imputarlo di avergli derubato quattro libbre di curame, non solo ma anche nella sera dei 13 andante verso le ore sei nella cucina del bettoliere Antonio Robazza detto Cavallin di dargli un forte pugno nel viso come possono testimoniare Conte Teresa moglie del suddetto bettoliere, Antonio Robazza, ed Angelo Morlin, del fu Giacomo ambi domiciliati in questa Comune.
(Lettera all’I.R. Pretura di Biadene - 14 ottobre 1833)
(Fonte: A.M.M. Polizia, 1833)


Litigi che continuano per mesi e per anni, con alterne vicende, come una telenovela:

Presentossi quest’oggi all’Officio Deputativo Rigato Francesco detto Gingi, Calzolajo domiciliato in Pieve, e  riferì, che la sera del primo corrente verso le ore otto Conte Francesco di Giovanni suo vicino andò alla sua casa, mentre si trovava assente, ed ivi inveì contro di lui dicendo che è una spia porca, un poco di buono, e minacciando di volerlo uccidere, e che ciò sentendo la di lui moglie concepì un tale spavento, che si rese necessaria una cacciata di sangue (un salasso), onde impedire, che le succeda qualche sinistro.
Per testimoni allega Favero Francesco del fu Angelo detto Cividal, e Piovesan Andrea ambi di Pieve.
(Lettera all’I.R. Pretura di Biadene)
(Fonte: A.M.M. Polizia 1834)


Ci sono i lavoranti focosi . . .

Presentossi questa mane all’Officio Deputativo Torresan Marta vedova del decesso Sante Favero, dimorante in Posmon, e riferì che geri si recò alla casa di Callegher Francesco detto Rosan suo genero in Pieve, che verso le ore cinque p.m. ella si partì dalla casa di sua genero, e che certo Vettor Paniz del fu Domenico Calzolajo lavorante nella Officina di suo genero, si esibì di tenerle compagnia; che partirono insieme, e che giunti in prossimità della casa abitata da Giuseppe Agnoletto limitrofa alla  strada Calcinada (oggi Corso Mazzini) il Paniz cominciò a violentarla, gettandola nel fosso, ed usandole molte disonestà; ch’essa si mise a gridare, e fortunatamente sopraggiunse con un carro Tesser Giovanni del fu Michiele detto Oca in unione al di lui figlio Fiorino, e la liberarono da quell’infame uomo.
(Lettera all’I.R. Pretura di Biadene - 14 ottobre 1833)


Ci sono vicini irascibili . . .

Giovanni Comarin Oste di Pieve mantiene dei suini, i quali non essendo ben custuditi s’introducono nelle vicine famiglie recando dei danni.
Mercordì scorso questi suini entrarono nella casa abitata da Antonio Menegon Calzolajo, ed ivi rovesciarono un pignato ripieno di brodo cosicchè la moglie del Menegon non poté trattenersi dal fare qualche lagnanza.
Il Comarin avendo sentito le lagnanze della moglie del Menegon sortì dalla Osteria e stando nel cortile cominciò ad inveire contro di essa trattandola da porca, luggia, ed aggiungendo  che era protetta; non contento di ciò il Comarin entrò nella sua Osteria, ed ivi seguitò a trattare replicatamente la moglie del Menegon da porca, luggia e protetta alla presenza di Gandin Vincenzo del fu Antonio, di Innocente Gio. Battista di Antonio, di Giovanni Arman detto Spadaccia tutti di questa Comune.
Venuto di ciò in cognizione Antonio Menegon si presentò questa mane, e mi pregò di partecipare il successo a codesto I.R. Commissariato Distrettuale, onde il Comarin abbia a dichiarare chi sia il protettore di sua moglie, e perché abbia pubblicamente denigrato l’onore di essa.
(Lettera all’Imperial Regio Commissariato Distrettuale di Montebelluna - 2 maggio1842)
(A.M.M. Polizia 1842)


Ed ecco il povero Vendramini Eugenio: presta ad Orsola un fazzoletto e, quando ne chiede la restituzione cosa riceve? Pugni e calci dallo spasimante di lei (E solo per caparra!)

Presentossi questa mane all’Officio Comunale Vendramini Eugenio detto Spadonetto calzolajo in Posmon, e riferì che mercordì prossimo passato verso le ore cinque pomeridiane passando dinanzi alla casa abitata da Bortolo Umana detto Chiocchetto, ed avendo veduta sulla porta della casa Orsola figlia del suddetto, le ricercò la restituzione di un fazzoletto, e che a tale domanda sortì da quella casa Giuseppe Massimo detto Bottando, che amoreggia la succitata giovane, e cominciò a maltrattarlo con reiterati pugni e calci, e dicendogli replicatamente, che quella era la caparra.
Per testimoni egli allega Pellizzari Bortolo detto Bottazzo e Torresan Corrente detto Falla ambo di Posmon; Insta quindi il Vendramini, che contro il suo offensore Massimo venga istituita regolare procedura.
(Lettera all’ I.R. Pretura - 25 ottobre 1844)
(Fonte:   A.M.M. Polizia 1844)


Un singolare documento del 1814 ci fa conoscere un calzolaio ‘intellettuale’.
Un gruppo di genitori di Trevignano protesta presso il Potestà perché il maestro esercita il mestiere di calzolaio e pizzicagnolo in un luogo non proprio ortodosso: l’aula di scuola.

Gli umili sottoscritti della Parrocchia suddetta, frazione annessa alla Comune di Montebelluna padre di non pochi figli che meritano analoga educazione, veggendo che rejetta ed invano fu per loro supplica prodotta alla propria Municipalità il giorno 5 Dicembre 1812 acciò fosse recata a questa Autorità, ed altra in quest’oggi a quel Comunale Consiglio di Montebelluna per rimpiazzo di soggetto abile e capace a sostenere il carico di Maestro di Scuola Elementare, si fanno perciò carico di ricorrere Supplica alla Suprema Magistratura del Dipartimento onde ottenere  un sospirato e necessario intento, attesa la vera,  e reale insufficienza del Maestro attuale.
Egli non ben discerne la lettera vocale dalla consonante.
Nella Camera destinata alla Scuola il Maestro esercita il mestiere di Calzolaio come eziandio di Pizzicagnolo, professioni tutte e due lontanissime dalla quiete e ritiro per lo studio. Ma quel ch’è più la pressoché totale insufficienza del precettore.
Gli anzidetti adunque ansiosi di vedere educata la prole implorano caldamente, che venga dalla di Lei Autorità sostituito il nominato Sig. D. Giovanni Fabbro Cappellano di questa Parrocchia come persona, come lo è difatti, fornita di rari talenti.
Nella ferma fiducia adunque di poter essere benignamente esaudito si onorano umiliarle Ces. R. Sig. Conte Prefetto le più distinte ed ossequiose loro grazie.
(Lettera al Sig. Conte Prefetto del Tagliamento - Trevignano 17 ottobre 1814)
(Fonte: A.M.M. Polizia 1814)


Nel 1836 i calzolai sono 36 e hanno ciascuno in media due collaboratori. Il capitale impiegato per ogni bottega è di 100 lire.
Nel panorama dell’artigianato montebellunese “far scarpe” è diventata l’attività preponderante;
primato ribadito dalla presenza di ben 10 venditori di pelli e cuojo. Lo stesso anno i tessitori sono 9, i cordajoli 8, e i pettinajoli 7.
Naturalmente attorno al deschetto siedono esclusivamente uomini. Bisogna attendere il nuovo secolo per vedere le donne entrare in un laboratorio calzaturiero.
Per il momento è considerato tipicamente femminile il lavoro nelle filande, anche se non tutti i mariti vedono di buon occhio la moglie che cerchi lavoro fuori casa.
E’ il caso di Lucia Rinaldo che chiede aiuto al regio Commissario.

Provincia di Treviso
Distretto di Montebelluna

Oggi giorno di mercordì 18 giugno 1845

Comparsa spontaneamente a questo R. Commissariato Distrettuale la nominata Lucia Rinaldo moglie di Michielin Lorenzo nativa,e dimorante in Montebelluna, d’anni 35, di condizione nutrice, depose quanto segue.
Lo stato infelice di mia famiglia m’obbliga a dovermi guadagnare da vivere onoratamente col mestiere ch’esercito, e coll’appoggiarmi in qualche filanda in tempo della seta, ma questa ultima fonte mio marito non acconsente non solo,ma ancora mi tergiversa tutte le strade perchè non abbia a trovarmi un appoggio presso qualche filandiere.Trovandomi imbarazzata per mandar avanti la mia famiglia, che trovasi nel massimo della miseria, così prego questa Onorevole Autorità, affinchè s’interponga, onde ottener possa l’assenso di mio marito d’andare in qualche filanda.
Fatto, letto, e firmato dalla Rinaldo con croce perchè illeterata.
(Fonte: A.M.M., Polizia 1845)

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L’allevamento dei bachi da seta
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Calzolai
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