La seconda diversificazione produttiva
Con la rivoluzione della plastica e la decisa
trasformazione industriale, il settore calzaturiero diventa il protagonista
dell’economia montelliana.
Il distretto si allarga: ai comuni storici del comprensorio si aggiungono Asolo e Altivole, e successivamente Vedelago, Istrana, . . .
Il distretto si allarga: ai comuni storici del comprensorio si aggiungono Asolo e Altivole, e successivamente Vedelago, Istrana, . . .
L’introduzione della plastica non
suscita tuttavia gli entusiasmi compatti di tutti gli imprenditori.
Il calzaturificio “La Mondiale” ha una tradizione ormai secolare. Ma il nuovo corso, che l’ha riportata al vertice della produzione, è cominciato con gli anni ‘60. Raffaele Gottardello spiega l’indirizzo dell’azienda: “Per il duemila non ci sono dubbi: gli scarponi da sci verranno migliorati, perfezionati, resi più comodi e funzionali, ma non potranno mai essere in plastica.” (Fonte: Sciare 1967)
Alcuni, infatti, o per oggettive difficoltà economiche o per una certa diffidenza culturale, scelgono di orientarsi verso la produzione di scarpe sportive alternative, e generano una seconda diversificazione produttiva. Fra i nuovi prodotti spicca il doposci in materiale sintetico, che segna un capitolo nuovo nella storia del distretto.
Doposci
Il doposci, fino agli anni ‘60, è uno stivaletto in pelle a mezza gamba fornito di cerniera laterale o di lacci.
Esso ha il pregio di essere un prodotto qualificato e durevole nel tempo data la robustezza delle materie prime impiegate; presenta però dei limiti: una linea classica un po' spartana ed una lavorazione tradizionale che mal si addicono ai capricci della moda.
Negli anni settanta é il momento del doposci in pelo, alternativa giovane e spiritosa da abbinare al colorato equipaggiamento da sci.
A date fisse arrivano i grossisti italiani e stranieri: io scrivo su un foglio le ordinazioni che, sommate, costituiscono la produzione dell’annata. Se posso, appiccico sulle calzature il mio marchio; se invece il cliente vuole metterci il suo, fa lo stesso: l’importante è produrre e vendere”. (Armando Rizzo, SCI 1977)
Il calzaturificio “La Mondiale” ha una tradizione ormai secolare. Ma il nuovo corso, che l’ha riportata al vertice della produzione, è cominciato con gli anni ‘60. Raffaele Gottardello spiega l’indirizzo dell’azienda: “Per il duemila non ci sono dubbi: gli scarponi da sci verranno migliorati, perfezionati, resi più comodi e funzionali, ma non potranno mai essere in plastica.” (Fonte: Sciare 1967)
Alcuni, infatti, o per oggettive difficoltà economiche o per una certa diffidenza culturale, scelgono di orientarsi verso la produzione di scarpe sportive alternative, e generano una seconda diversificazione produttiva. Fra i nuovi prodotti spicca il doposci in materiale sintetico, che segna un capitolo nuovo nella storia del distretto.
Doposci
Il doposci, fino agli anni ‘60, è uno stivaletto in pelle a mezza gamba fornito di cerniera laterale o di lacci.
Esso ha il pregio di essere un prodotto qualificato e durevole nel tempo data la robustezza delle materie prime impiegate; presenta però dei limiti: una linea classica un po' spartana ed una lavorazione tradizionale che mal si addicono ai capricci della moda.
Negli anni settanta é il momento del doposci in pelo, alternativa giovane e spiritosa da abbinare al colorato equipaggiamento da sci.
A date fisse arrivano i grossisti italiani e stranieri: io scrivo su un foglio le ordinazioni che, sommate, costituiscono la produzione dell’annata. Se posso, appiccico sulle calzature il mio marchio; se invece il cliente vuole metterci il suo, fa lo stesso: l’importante è produrre e vendere”. (Armando Rizzo, SCI 1977)
I primi modelli sono
realizzati in cavallino o in foca e mantengono una linea abbastanza sobria.
Il grande boom del doposci in pelo coincide però con l'impiego della capra tibetana, o più propriamente detta "kalgan", che consente ai produttori più fantasia nel design; linee più audaci ed eccentriche con cui giostrare per ottenere i risultati più originali.
I leaders del settore fanno a gara per accaparrarsi i migliori contratti con la Cina, fonte primaria di approvvigionamento, assieme al Pakistan e al Sud-Africa, ma in posizioni marginali.
Molto ricercato é il pelo molto lungo e fluente (variante un tempo assorbita esclusivamente dal settore abbigliamento per essere impiegata nella produzione di giubbetti a pelo arricciato) che si ottiene effettuando numerose tosature; di conseguenza il pelo si mantiene fitto a scapito della pelle piuttosto scarsa.
Il prodotto viene trattato alla Fiera di Canton che si tiene due volte all'anno, in Aprile ed in Ottobre, e dove si trovano esclusivamente prodotti originari della Cina.
La partecipazione alla manifestazione è esclusiva e avviene solo su invito per pochi eletti, generalmente operatori economici di aziende altamente qualificate.
Gli stands sono condotti da funzionari statali che conducono una transazione molto particolare: le capre vengono vendute in tavole a balla chiusa.
L'acquirente non può dunque constatare la qualità della merce, il funzionario gli comunica soltanto il prezzo, il peso e la scelta della balla oggetto di contrattazione.
Vi sono tre tipi di scelte:
- Alla prima appartengono le tavole aventi un pelo omogeneo, liscio, di colore bianco, con una bella pelle di fondo;
- Alla seconda le tavole a pelo meno resistente, con numerose cuciture, di colore giallastro in quanto trattate con l'urina della bestia stessa;
- La terza scelta è scadente; le tavole presentano tante cuciture, il colore è opaco e decisamente giallastro, in certe zone in cui il pelo è consunto o addirittura assente.
I tempi di consegna sono lunghi, circa sei mesi dal momento dell'acquisto, tuttavia il produttore ha la garanzia di ottenere il prodotto più qualificato che offre il mercato.
Il 75% dell'offerta viene assorbito dal comprensorio Montebellunese, il rimanente viene distribuito fra la Francia e il Giappone.
Nell'ambito dei doposci, la scarpa in pelo è un prodotto della gamma intermedia: l'alternativa qualificata al prodotto sintetico e l'alternativa giovane al doposci in pelle.
1969 - ‘70 Viene lanciato il primo doposci in materiale sintetico: il Moon Boot della Tecnica.
In questo tipo di produzione assumono importanza, più che la tecnologia, due nuovi fattori:
a) la fantasia per adeguare il prodotto ai dettami della moda;
b) la disponibilità di forza lavoro addestrata a basso costo.
Ci siamo ispirati alla calzatura degli astronauti americani che andarono sulla luna. Il suo enorme successo era legato a tre fattori: tecnico funzionale, di design moda e di mercato.
Fu il primo doposci a calzata multipla ambidestra, che copriva al tempo stesso ben quattro taglie pur mantenendo i pregi della calzatura singola. Lo si realizza attraverso un’imbottitura automodellante e ad una allacciatura che permette ulteriori regolazioni.
La sua forma ampia nel plantare e la sua leggerezza permettevano una facile motricità anche sulla neve fresca e l’impermeabilità accrebbe il comfort. Il suo prezzo competitivo e la facilità di vendita e di gestione assicurarono un impatto positivo sul mercato.
Con l’uso del materiale sintetico fu possibile utilizzare una vasta gamma di colori; anche il marchio della ditta diventò importante sulla superficie del doposcì, e queste caratteristiche permisero di adattare il prodotto ai tempi e alle mode.(Giancarlo Zanatta, Tecnica)
Il Moon Boot può essere considerato il capostipite di tutti i modelli presentati in seguito dalle numerose aziende della zona Montebelluna-Asolo e rimane tuttora un prodotto alla moda.
1974-’75 A partire da questa stagione il successo commerciale ottenuto dal doposci si manifesta in tutta la sua interezza e determina l'inserimento di sempre nuovi produttori.
In primo luogo il doposci apre la strada ad una produzione altamente industrializzabile.
In secondo luogo questo genere di prodotto permette un enorme ampliamento del ventaglio dei prezzi.
La possibilità di variare con facilità le caratteristiche del materiale impiegato sgancia inoltre questo articolo da valutazioni esclusivamente funzionali inserendolo all'interno del sistema-moda in stretta connessione con il mercato dell'abbigliamento sportivo.
Da un lato una fascia di artigiani e terzisti, già "attivati" dalle precedenti produzioni, trovano l'occasione per una crescita imprenditoriale autonoma. Dall'altro, si assiste all'innesto di attività industriali che formalmente sono da considerarsi extra-calzaturiere, ma che tuttavia agiscono in posizione di supporto rispetto al settore "guida" del comprensorio. La nuova imprenditorialità ha caratteristiche ed esigenze assai diverse da quelle manifestate dall'imprenditorialità originaria; essa si alimenta in modo quasi esclusivo del fenomeno dell'imitazione.
Le aziende leaders del settore dispongono di una struttura tecnico-produttivo-commerciale e di un apparato di ricerca solido e sviluppato che permette loro di acquisire quelle fasce di mercato rappresentate da prodotti a più alto valore unitario (e che consentono margini di redditività più elevati) mentre la nuova imprenditorialità del doposci prolifera nelle fasce di mercato più basse che permettono margini di utile unitario inferiore, ma che provengono da una imitazione dei modelli più prestigiosi realizzati in passato e dall'impiego di materiali meno costosi e da lavorazioni e finiture semplificate.
Molto semplicemente le imprese di punta sperimentano e innovano aprendo nuove soluzioni tecnico-commerciali, mentre le altre, sulla base del successo riscontrato, copiano, semplificano e soprattutto riducono i prezzi dell'offerta.
Il fenomeno dell'imitazione rappresenta un fatto produttivo quanto mai diffuso su cui intere economie nazionali hanno saputo costruire occasioni di benessere economico e di progresso civile.
Finora questa dialettica fra innovazione e imitazione intra-comprensoriale ha indubbiamente funzionato per quanto attiene la vitalità delle imprese. Inoltre, poiché l'obiettivo è l'offerta di un prodotto più semplice e più economico rispetto a quello di punta, i produttori di doposci hanno cercato fornitori in grado di mettere a loro disposizione suole, minuteria metallica e parti componenti più economiche, vale a dire, sono ricorsi ancora una volta all'imitazione.
Non solo si è creata una domanda aggiuntiva, che i precedenti fornitori non sarebbero stati in grado di soddisfare in tempi brevi, ma soprattutto vi era l'esigenza di prodotti "copiati" che i fornitori originari non potevano offrire alle aziende imitatrici senza scontentare quelle innovatrici. Del resto l'espansione della domanda era tale da creare posto per tutti. Si è così verificata la formazione di un doppio circuito fornitori-produttori: quello basato sull'innovazione e quello basato sull'imitazione.
(Fonte: Roberto Bentini - Tesi di laurea: Evoluzione di un’industria ad alta concentrazione territoriale: il caso della produzione di doposci - A.A. 1982-1983)
1976-‘78 La domanda di doposci ha la sua massima espansione.
Le principali aziende produttive godono di floridezza economica, il mercato tira, i margini di profitto sono buoni.
1979-‘81 I facili profitti portano nel giro di due anni alla nascita di una miriade di piccole imprese, in prevalenza artigiane, dalla quale escono valanghe di doposci.
Ho cominciato a 14 anni, lavorando alla Nordica, come operaio. A 18 anni sono diventato capo magazziniere. A 20 anni sono andato in Svizzera. Nel 1974 sono tornato in Italia. Ho fatto il dirigente in un negozio di articoli sportivi. Poi sono entrato nel calzaturificio Siberia.
Nel 1980 ho cominciato a produrre doposci. Con l’aiuto di tre-quattro orlatrici e di una decina di ragazze appena uscite dalla scuola media, ho fondato il calzaturificio Istrana. (Giuliano Zanatta, Jolly Scarpe).
Siamo partiti nel 1977.
Mio fratello faceva il tagliatore di tomaie per conto terzi e possedeva alcuni macchinari. Dopo il servizio militare abbiamo pensato di unirci (prima facevo l’idraulico) e di metterci per conto nostro. Abbiamo lavorato in una ditta del settore per un anno e ci siamo fatti le ossa, dopodiché abbiamo acquistato una nuova trancia in aggiunta ai macchinari del tomaificio e poi , via via altri macchinari.
Erano anni molto buoni. Si lavorava e si guadagnava. Noi comunque non abbiamo mai fatto il passo più lungo della gamba, ci siamo sempre autofinanziati e non abbiamo mai chiesto prestiti.
Dieci anni fa ci volevano circa 10 milioni per attrezzare un piccolo laboratorio composto da una trancia e due macchine per cucire. Venti metri quadrati erano sufficienti. Al giorno d’oggi la spesa sale di molto perché i macchinari devono essere sempre più all’avanguardia, per ridurre al massimo i costi e devono rispondere alle norme di legge. Una trancia moderna costa circa 18/20 milioni. (Tiziano e Antonio Binotto, Antis)
Il grande boom del doposci in pelo coincide però con l'impiego della capra tibetana, o più propriamente detta "kalgan", che consente ai produttori più fantasia nel design; linee più audaci ed eccentriche con cui giostrare per ottenere i risultati più originali.
I leaders del settore fanno a gara per accaparrarsi i migliori contratti con la Cina, fonte primaria di approvvigionamento, assieme al Pakistan e al Sud-Africa, ma in posizioni marginali.
Molto ricercato é il pelo molto lungo e fluente (variante un tempo assorbita esclusivamente dal settore abbigliamento per essere impiegata nella produzione di giubbetti a pelo arricciato) che si ottiene effettuando numerose tosature; di conseguenza il pelo si mantiene fitto a scapito della pelle piuttosto scarsa.
Il prodotto viene trattato alla Fiera di Canton che si tiene due volte all'anno, in Aprile ed in Ottobre, e dove si trovano esclusivamente prodotti originari della Cina.
La partecipazione alla manifestazione è esclusiva e avviene solo su invito per pochi eletti, generalmente operatori economici di aziende altamente qualificate.
Gli stands sono condotti da funzionari statali che conducono una transazione molto particolare: le capre vengono vendute in tavole a balla chiusa.
L'acquirente non può dunque constatare la qualità della merce, il funzionario gli comunica soltanto il prezzo, il peso e la scelta della balla oggetto di contrattazione.
Vi sono tre tipi di scelte:
- Alla prima appartengono le tavole aventi un pelo omogeneo, liscio, di colore bianco, con una bella pelle di fondo;
- Alla seconda le tavole a pelo meno resistente, con numerose cuciture, di colore giallastro in quanto trattate con l'urina della bestia stessa;
- La terza scelta è scadente; le tavole presentano tante cuciture, il colore è opaco e decisamente giallastro, in certe zone in cui il pelo è consunto o addirittura assente.
I tempi di consegna sono lunghi, circa sei mesi dal momento dell'acquisto, tuttavia il produttore ha la garanzia di ottenere il prodotto più qualificato che offre il mercato.
Il 75% dell'offerta viene assorbito dal comprensorio Montebellunese, il rimanente viene distribuito fra la Francia e il Giappone.
Nell'ambito dei doposci, la scarpa in pelo è un prodotto della gamma intermedia: l'alternativa qualificata al prodotto sintetico e l'alternativa giovane al doposci in pelle.
1969 - ‘70 Viene lanciato il primo doposci in materiale sintetico: il Moon Boot della Tecnica.
In questo tipo di produzione assumono importanza, più che la tecnologia, due nuovi fattori:
a) la fantasia per adeguare il prodotto ai dettami della moda;
b) la disponibilità di forza lavoro addestrata a basso costo.
Ci siamo ispirati alla calzatura degli astronauti americani che andarono sulla luna. Il suo enorme successo era legato a tre fattori: tecnico funzionale, di design moda e di mercato.
Fu il primo doposci a calzata multipla ambidestra, che copriva al tempo stesso ben quattro taglie pur mantenendo i pregi della calzatura singola. Lo si realizza attraverso un’imbottitura automodellante e ad una allacciatura che permette ulteriori regolazioni.
La sua forma ampia nel plantare e la sua leggerezza permettevano una facile motricità anche sulla neve fresca e l’impermeabilità accrebbe il comfort. Il suo prezzo competitivo e la facilità di vendita e di gestione assicurarono un impatto positivo sul mercato.
Con l’uso del materiale sintetico fu possibile utilizzare una vasta gamma di colori; anche il marchio della ditta diventò importante sulla superficie del doposcì, e queste caratteristiche permisero di adattare il prodotto ai tempi e alle mode.(Giancarlo Zanatta, Tecnica)
Il Moon Boot può essere considerato il capostipite di tutti i modelli presentati in seguito dalle numerose aziende della zona Montebelluna-Asolo e rimane tuttora un prodotto alla moda.
1974-’75 A partire da questa stagione il successo commerciale ottenuto dal doposci si manifesta in tutta la sua interezza e determina l'inserimento di sempre nuovi produttori.
In primo luogo il doposci apre la strada ad una produzione altamente industrializzabile.
In secondo luogo questo genere di prodotto permette un enorme ampliamento del ventaglio dei prezzi.
La possibilità di variare con facilità le caratteristiche del materiale impiegato sgancia inoltre questo articolo da valutazioni esclusivamente funzionali inserendolo all'interno del sistema-moda in stretta connessione con il mercato dell'abbigliamento sportivo.
Da un lato una fascia di artigiani e terzisti, già "attivati" dalle precedenti produzioni, trovano l'occasione per una crescita imprenditoriale autonoma. Dall'altro, si assiste all'innesto di attività industriali che formalmente sono da considerarsi extra-calzaturiere, ma che tuttavia agiscono in posizione di supporto rispetto al settore "guida" del comprensorio. La nuova imprenditorialità ha caratteristiche ed esigenze assai diverse da quelle manifestate dall'imprenditorialità originaria; essa si alimenta in modo quasi esclusivo del fenomeno dell'imitazione.
Le aziende leaders del settore dispongono di una struttura tecnico-produttivo-commerciale e di un apparato di ricerca solido e sviluppato che permette loro di acquisire quelle fasce di mercato rappresentate da prodotti a più alto valore unitario (e che consentono margini di redditività più elevati) mentre la nuova imprenditorialità del doposci prolifera nelle fasce di mercato più basse che permettono margini di utile unitario inferiore, ma che provengono da una imitazione dei modelli più prestigiosi realizzati in passato e dall'impiego di materiali meno costosi e da lavorazioni e finiture semplificate.
Molto semplicemente le imprese di punta sperimentano e innovano aprendo nuove soluzioni tecnico-commerciali, mentre le altre, sulla base del successo riscontrato, copiano, semplificano e soprattutto riducono i prezzi dell'offerta.
Il fenomeno dell'imitazione rappresenta un fatto produttivo quanto mai diffuso su cui intere economie nazionali hanno saputo costruire occasioni di benessere economico e di progresso civile.
Finora questa dialettica fra innovazione e imitazione intra-comprensoriale ha indubbiamente funzionato per quanto attiene la vitalità delle imprese. Inoltre, poiché l'obiettivo è l'offerta di un prodotto più semplice e più economico rispetto a quello di punta, i produttori di doposci hanno cercato fornitori in grado di mettere a loro disposizione suole, minuteria metallica e parti componenti più economiche, vale a dire, sono ricorsi ancora una volta all'imitazione.
Non solo si è creata una domanda aggiuntiva, che i precedenti fornitori non sarebbero stati in grado di soddisfare in tempi brevi, ma soprattutto vi era l'esigenza di prodotti "copiati" che i fornitori originari non potevano offrire alle aziende imitatrici senza scontentare quelle innovatrici. Del resto l'espansione della domanda era tale da creare posto per tutti. Si è così verificata la formazione di un doppio circuito fornitori-produttori: quello basato sull'innovazione e quello basato sull'imitazione.
(Fonte: Roberto Bentini - Tesi di laurea: Evoluzione di un’industria ad alta concentrazione territoriale: il caso della produzione di doposci - A.A. 1982-1983)
1976-‘78 La domanda di doposci ha la sua massima espansione.
Le principali aziende produttive godono di floridezza economica, il mercato tira, i margini di profitto sono buoni.
1979-‘81 I facili profitti portano nel giro di due anni alla nascita di una miriade di piccole imprese, in prevalenza artigiane, dalla quale escono valanghe di doposci.
Ho cominciato a 14 anni, lavorando alla Nordica, come operaio. A 18 anni sono diventato capo magazziniere. A 20 anni sono andato in Svizzera. Nel 1974 sono tornato in Italia. Ho fatto il dirigente in un negozio di articoli sportivi. Poi sono entrato nel calzaturificio Siberia.
Nel 1980 ho cominciato a produrre doposci. Con l’aiuto di tre-quattro orlatrici e di una decina di ragazze appena uscite dalla scuola media, ho fondato il calzaturificio Istrana. (Giuliano Zanatta, Jolly Scarpe).
Siamo partiti nel 1977.
Mio fratello faceva il tagliatore di tomaie per conto terzi e possedeva alcuni macchinari. Dopo il servizio militare abbiamo pensato di unirci (prima facevo l’idraulico) e di metterci per conto nostro. Abbiamo lavorato in una ditta del settore per un anno e ci siamo fatti le ossa, dopodiché abbiamo acquistato una nuova trancia in aggiunta ai macchinari del tomaificio e poi , via via altri macchinari.
Erano anni molto buoni. Si lavorava e si guadagnava. Noi comunque non abbiamo mai fatto il passo più lungo della gamba, ci siamo sempre autofinanziati e non abbiamo mai chiesto prestiti.
Dieci anni fa ci volevano circa 10 milioni per attrezzare un piccolo laboratorio composto da una trancia e due macchine per cucire. Venti metri quadrati erano sufficienti. Al giorno d’oggi la spesa sale di molto perché i macchinari devono essere sempre più all’avanguardia, per ridurre al massimo i costi e devono rispondere alle norme di legge. Una trancia moderna costa circa 18/20 milioni. (Tiziano e Antonio Binotto, Antis)
La corsa
del calzaturiero s’inceppa
Dopo uno sviluppo galloppante, alla fine del decennio alcune aziende calzaturiere hanno il fiato grosso.
I rapporti fra datori di lavoro e sindacati diventano più tesi.
Prodotti a basso prezzo dai paesi orientali (Taiwan e Corea) accentuarono la già critica situazione del settore.
Molte piccole imprese fallirono, altre si indirizzarono verso produzioni alternative. Le imprese sopravvissute alla guerra dei prezzi furono le più grandi e quelle minori, che ridussero la produzione qualificando il prodotto.
Dopo uno sviluppo galloppante, alla fine del decennio alcune aziende calzaturiere hanno il fiato grosso.
I rapporti fra datori di lavoro e sindacati diventano più tesi.
Prodotti a basso prezzo dai paesi orientali (Taiwan e Corea) accentuarono la già critica situazione del settore.
Molte piccole imprese fallirono, altre si indirizzarono verso produzioni alternative. Le imprese sopravvissute alla guerra dei prezzi furono le più grandi e quelle minori, che ridussero la produzione qualificando il prodotto.
“Il panorama dei produttori ha bisogno di un assestamento. L’anno scorso c’era gente che metteva insieme i doposci di plastica nella stanzetta e li vendeva a 4.800 £. come primo prezzo.
Questi sono fenomeni che non giovano a nessuno, ma per fortuna i fornitori girano già con le liste di chi deve essere servito e chi no.” (Susanna Dal Bello - Sciare 1981)
1983 Fu a causa della crisi che le imprese maggiori, intensificando l’attività di ricerca e sviluppo, spostarono l’immagine tradizionale del doposci verso una scarpa più normale.
Nel 1983: entra in scena un doposci più filante, che assomiglia ad uno scarponcino.
Esso mantiene tutte le caratteristiche del tradizionale doposci: impermeabilità, calore, flessibilità, leggerezza, ma il suo uso è meno legato al tempo libero sulla neve. Il nuovo doposci è diventato una confortevole ed economica calzatura per la città: il City Boot.