Gli anni ‘60
In Italia
Negli anni ‘60 si concretizzò la tendenza, che aveva iniziato a configurarsi durante il segretariato di Fanfani della DC (1954-59), ad allargare verso sinistra la maggioranza di centro. Infatti, dopo l’elezione di Aldo Moro a segretario della DC nel 1960, si precisò una svolta in questo senso con la creazione di governi che avevano l’appoggio di democristiani e socialisti e che caratterizzarono la vita politica di tutto il decennio.
Il merito principale del centro-sinistra fu quello di estendere i diritti e le libertà dei cittadini e di far aumentare i salari e i diritti degli operai in fabbrica. Tuttavia esso ebbe anche molti demeriti, in primis quello di aver elaborato un vasto piano di riforme che venne poi portato a termine solo in piccolissima parte. Gli unici provvedimenti effettivamente attuati furono la nazionalizzazione delle società private di energia elettrica con la creazione dell’ENEL e l’istituzione della scuola media unica, che unificò i vari indirizzi fino allora esistenti e ne rese obbligatoria la frequenza.
La mancata attuazione delle promesse riforme acuì, anziché attenuare, il malcontento serpeggiante nel paese, mentre la politica più libera e permissiva del governo attenuò la pressione esercitata sull’opposizione comunista. Questo sfociò nelle violente contestazioni studentesche del 1967-69 che attaccavano non solo il sistema scolastico vigente, ma anche quello sociale e politico. Accanto al malessere degli studenti si unì quello delle donne che, attraverso un battagliero movimento femminista, rivendicavano la parità dei diritti sancita dalla Costituzione ma rimasta fino allora largamente disattesa.
La DC nel Distretto di Montebelluna
Si susseguono le amministrazione democristiane. La lotta politica in molti comuni del distretto è resa turbolenta più che dal confronto con le opposizioni, dalle lotte spesso accanite che coinvolgono le varie correnti del gruppo di maggioranza assoluta.
Si perdono alcune grandi occasioni, prima fra tutte quella di realizzare la circonvallazione: un problema che diventerà sempre più drammatico nei decenni futuri.
Con il Censimento del 1961 si scopre una Montebelluna con un volto più moderno.
I mutamenti sociali nella seconda metà degli anni ‘50 hanno subito un’accelerazione: gli operai sono più che raddoppiati rispetto ai contadini e sono cresciuti gli addetti al Commercio, ai Servizi Vari e alla Pubblica Amministrazione.
Con il Censimento del 1961 si scopre una Montebelluna con un volto più moderno.
I mutamenti sociali nella seconda metà degli anni ‘50 hanno subito un’accelerazione: gli operai sono più che raddoppiati rispetto ai contadini e sono cresciuti gli addetti al Commercio, ai Servizi Vari e alla Pubblica Amministrazione.
Negli anni ‘60 si concretizzò la tendenza, che aveva iniziato a configurarsi durante il segretariato di Fanfani della DC (1954-59), ad allargare verso sinistra la maggioranza di centro. Infatti, dopo l’elezione di Aldo Moro a segretario della DC nel 1960, si precisò una svolta in questo senso con la creazione di governi che avevano l’appoggio di democristiani e socialisti e che caratterizzarono la vita politica di tutto il decennio.
Il merito principale del centro-sinistra fu quello di estendere i diritti e le libertà dei cittadini e di far aumentare i salari e i diritti degli operai in fabbrica. Tuttavia esso ebbe anche molti demeriti, in primis quello di aver elaborato un vasto piano di riforme che venne poi portato a termine solo in piccolissima parte. Gli unici provvedimenti effettivamente attuati furono la nazionalizzazione delle società private di energia elettrica con la creazione dell’ENEL e l’istituzione della scuola media unica, che unificò i vari indirizzi fino allora esistenti e ne rese obbligatoria la frequenza.
La mancata attuazione delle promesse riforme acuì, anziché attenuare, il malcontento serpeggiante nel paese, mentre la politica più libera e permissiva del governo attenuò la pressione esercitata sull’opposizione comunista. Questo sfociò nelle violente contestazioni studentesche del 1967-69 che attaccavano non solo il sistema scolastico vigente, ma anche quello sociale e politico. Accanto al malessere degli studenti si unì quello delle donne che, attraverso un battagliero movimento femminista, rivendicavano la parità dei diritti sancita dalla Costituzione ma rimasta fino allora largamente disattesa.
La DC nel Distretto di Montebelluna
Si susseguono le amministrazione democristiane. La lotta politica in molti comuni del distretto è resa turbolenta più che dal confronto con le opposizioni, dalle lotte spesso accanite che coinvolgono le varie correnti del gruppo di maggioranza assoluta.
Si perdono alcune grandi occasioni, prima fra tutte quella di realizzare la circonvallazione: un problema che diventerà sempre più drammatico nei decenni futuri.
Con il Censimento del 1961 si scopre una Montebelluna con un volto più moderno.
I mutamenti sociali nella seconda metà degli anni ‘50 hanno subito un’accelerazione: gli operai sono più che raddoppiati rispetto ai contadini e sono cresciuti gli addetti al Commercio, ai Servizi Vari e alla Pubblica Amministrazione.
Con il Censimento del 1961 si scopre una Montebelluna con un volto più moderno.
I mutamenti sociali nella seconda metà degli anni ‘50 hanno subito un’accelerazione: gli operai sono più che raddoppiati rispetto ai contadini e sono cresciuti gli addetti al Commercio, ai Servizi Vari e alla Pubblica Amministrazione.
Gli anni Sessanta rappresentano
l’ingresso festoso, ottimista, rumoroso nella società industriale.
Eppure l’abbandono dei campi non è totale e lacerante. A differenza del bracciante meridionale, che viene sradicato dal suo paese e dalle sue abitudini, il metalmezzadro veneto non passa brutalmente dal campo alla manovia. Finito il turno in fabbrica, a casa l’aspettano l’orto, la stalla, il vigneto. Forse questa duplice attività l’aiuta a sopportare meglio il dolore del mutamento.
Società moderna significa soprattutto comodità un tempo riservate ai ricchi, prima fra tutte l’acqua corrente in casa. Nel 1961 su 4.021 abitazioni del Comune, 2.593 sono servite dall’acquedotto comunale.
Si diffonde il riscaldamento centrale che all’inizio del decennio era un lusso per solo 259 abitazioni.
La tecnologia domestica si arricchisce di elettrodomestici quali il frigorifero e la lavatrice, e in fatto di mezzi di trasporto, anche l’operaio può permettersi la Seicento pagata a rate. Arriva la pizza, e per i giovani è un modo alternativo ed economico di mangiare fuori di casa.
Certo la mentalità conserva molti aspetti del passato: alle ragazze cattoliche si sconsiglia l’uso dei pantaloni perchè “turbano” la sensibilità dei maschi, e si rifiuta la comunione alle donne senza velo e senza calze. Un parroco arriva persino a strappare dall’enciclopedia nella piccola biblioteca delle ACLI tutte le pagine con i disegni degli organi sessuali!
Eppure l’abbandono dei campi non è totale e lacerante. A differenza del bracciante meridionale, che viene sradicato dal suo paese e dalle sue abitudini, il metalmezzadro veneto non passa brutalmente dal campo alla manovia. Finito il turno in fabbrica, a casa l’aspettano l’orto, la stalla, il vigneto. Forse questa duplice attività l’aiuta a sopportare meglio il dolore del mutamento.
Società moderna significa soprattutto comodità un tempo riservate ai ricchi, prima fra tutte l’acqua corrente in casa. Nel 1961 su 4.021 abitazioni del Comune, 2.593 sono servite dall’acquedotto comunale.
Si diffonde il riscaldamento centrale che all’inizio del decennio era un lusso per solo 259 abitazioni.
La tecnologia domestica si arricchisce di elettrodomestici quali il frigorifero e la lavatrice, e in fatto di mezzi di trasporto, anche l’operaio può permettersi la Seicento pagata a rate. Arriva la pizza, e per i giovani è un modo alternativo ed economico di mangiare fuori di casa.
Certo la mentalità conserva molti aspetti del passato: alle ragazze cattoliche si sconsiglia l’uso dei pantaloni perchè “turbano” la sensibilità dei maschi, e si rifiuta la comunione alle donne senza velo e senza calze. Un parroco arriva persino a strappare dall’enciclopedia nella piccola biblioteca delle ACLI tutte le pagine con i disegni degli organi sessuali!
L’orologio della storia batte l’ora di
un altro mutamento di costume epocale: non si nasce e non si muore più in casa,
ma all’ospedale; non si viene più sepolti in fosse scavate sulla nuda terra, ma
in razionali loculi.
Nella società agricola la morte veniva “vissuta” come evento naturale. Nell’era del progresso essa appare un’offesa all’efficienza medica, e viene allontanata dagli occhi dei bambini che vedono morire solo in tivù.
Il funerale, da rito collettivo, si riduce ad un’inevitabile, onerosa spesa per la famiglia: uno spettacolo arcaico non più compatibile con il traffico, gli orari, il ritmo della modernità.
Il tramonto della civiltà contadina coincide con la svaltazione del vecchio che, diventato improduttivo, viene depositato in casa di ricovero . . . dove muore solo.
Nella società agricola la morte veniva “vissuta” come evento naturale. Nell’era del progresso essa appare un’offesa all’efficienza medica, e viene allontanata dagli occhi dei bambini che vedono morire solo in tivù.
Il funerale, da rito collettivo, si riduce ad un’inevitabile, onerosa spesa per la famiglia: uno spettacolo arcaico non più compatibile con il traffico, gli orari, il ritmo della modernità.
Il tramonto della civiltà contadina coincide con la svaltazione del vecchio che, diventato improduttivo, viene depositato in casa di ricovero . . . dove muore solo.
L’ingresso di
massa nella società industriale segna la fine di molte consuetudini e pratiche
religiose legate all’agricoltura quali le Rogazioni, la processione del Corpus
Domini, e quella del Venerdì Santo.
Una tradizione che coinvolgeva i bambini era la spigolatura per la chiesa: i mazzettini di spighe servivano per ricavare la farina per fare le particole.
Di sera invece un po' di cinema (è il momento ruggente del cineforum di Toni Solitro), un po' di sport e tanta televisione.
Attraverso le Case del giovane le parrocchie cercano di trattenere la gioventù: dal 1957 al 1967 il Grest di don Benito coinvolge centinaia di giovani durante l’estate. Ma ormai è cominciata l’era della motorizzazione diffusa e di domenica si cerca svago altrove.
Nel sonnolento clima culturale una ventata d’aria nuova è rappresentata dall’associazione Tempi Nuovi di Umberto Musumeci, Bruno Andolfato, Toni Bortot, Fulvio e Franco Trinca, che con i suoi dibattiti propone stimolanti interrogativi alla città.
Una tradizione che coinvolgeva i bambini era la spigolatura per la chiesa: i mazzettini di spighe servivano per ricavare la farina per fare le particole.
Di sera invece un po' di cinema (è il momento ruggente del cineforum di Toni Solitro), un po' di sport e tanta televisione.
Attraverso le Case del giovane le parrocchie cercano di trattenere la gioventù: dal 1957 al 1967 il Grest di don Benito coinvolge centinaia di giovani durante l’estate. Ma ormai è cominciata l’era della motorizzazione diffusa e di domenica si cerca svago altrove.
Nel sonnolento clima culturale una ventata d’aria nuova è rappresentata dall’associazione Tempi Nuovi di Umberto Musumeci, Bruno Andolfato, Toni Bortot, Fulvio e Franco Trinca, che con i suoi dibattiti propone stimolanti interrogativi alla città.
I montebellunesi e la cultura nel 1961
Il miracolo economico in Italia
Il miracolo economico propriamente detto è durato dal 1955 al 1963: in questo periodo la crescita annua è stata del 6-8% contro il 2-2.5% del periodo 1900-1954. Si è trattato di un boom industriale che ha fatto quasi raddoppiare la potenza motrice installata nelle fabbriche fra il 1951 e il 1961, un boom basato sulla motorizzazione di massa che ha dato un impulso fortissimo alla fabbricazione dapprima di Vespe e Lambrette e poi di automobili.
Il merito del “miracolo” va attribuito in parti uguali allo spirito d’iniziativa, all’inventiva, al coraggio di tanti nuovi piccoli imprenditori e allo spirito di sacrificio degli operai. Infatti esso si è basato largamente su bassi salari che hanno reso possibile un tasso elevatissimo di investimenti, hanno reso competitivi i costi di produzione e hanno consentito all’industria di allargare, in misura prima mai vista, le proprie esportazioni, agevolate dall’abbattimento delle barriere doganali in Europa. Tuttavia, pur se realizzato sulla pelle dei lavoratori (bassi salari), il miracolo ha giovato ampiamente anche a questi perché ha fatto aumentare in misura rilevantissima l’occupazione.
Dopo il 1958 i salari hanno invece cominciato a crescere, specie nel 1961-64, adeguandosi ai livelli degli altri Paesi Europei industrializzati. La crescita dei salari ha fatto entrare anche l’Italia nella fase dei consumi di massa e della società del benessere, profondamente diversa da quella tradizionale dal punto di vista sia economico che sociale.
Il miracolo economico a Montebelluna
La positiva congiuntura economica, che permette ai consumatori di utilizzare una parte rilevante del proprio reddito per acquistare beni per il tempo libero, e la diffusione di massa delle discipline sportive invernali favoriscono lo sviluppo delle aziende montebellunesi.
Le aziende produttrici di scarponi sono una trentina. Però solo tre vantano una struttura di tipo industriale (messe assieme occupano circa 600 addetti).
La grossa intuizione è quella che riguarda lo scarpone da sci, come prodotto il cui mercato sarà destinato ad ampliarsi negli anni avvenire grazie al nuovo stile di vita che andava evolvendosi.
Ora si riforniscono esclusivamente i grossisti. (Giovanni Caberlotto)
A queste aziende leader, fanno seguito un nutrito gruppo di imprese a produzione suddivisa tra scarponi, doposcì, pedule, scarpe da passeggio, etc., che occasionalmente svolgono anche lavorazioni per conto delle aziende maggiori”.
Nel 1960, realizzai finalmente il mio progetto e mi misi in proprio. Facevo dei campioni di scarpe, li sistemavo in una valigia, dietro la vespa, e andavo a venderli a Bergamo e nell’Alto Adige, con qualsiasi tempo.
Non riuscii a vendere subito i miei modelli perché la gente non aveva fiducia nelle mie novità: ho prodotto il primo scarpone da roccia a fondo chiuso. Poi è arrivata la fortuna. I commercianti altoatesini mi mandarono un rappresentante: il primo giro durò una settimana e vendetti 2.000 paia di scarpe.
Nei primi due anni di attività lavoravo da solo (tenevo anche la contabilità), senza operai, aiutato da mia moglie.
Il lavoro funzionava così: io tagliavo, mia moglie cuciva. Poi premontavo le scarpe e le portavo ad Asolo (anche in bicicletta) per cucire la suola. Finivo a casa il lavoro e le spedivo. (Dino Signori)
Il miracolo economico propriamente detto è durato dal 1955 al 1963: in questo periodo la crescita annua è stata del 6-8% contro il 2-2.5% del periodo 1900-1954. Si è trattato di un boom industriale che ha fatto quasi raddoppiare la potenza motrice installata nelle fabbriche fra il 1951 e il 1961, un boom basato sulla motorizzazione di massa che ha dato un impulso fortissimo alla fabbricazione dapprima di Vespe e Lambrette e poi di automobili.
Il merito del “miracolo” va attribuito in parti uguali allo spirito d’iniziativa, all’inventiva, al coraggio di tanti nuovi piccoli imprenditori e allo spirito di sacrificio degli operai. Infatti esso si è basato largamente su bassi salari che hanno reso possibile un tasso elevatissimo di investimenti, hanno reso competitivi i costi di produzione e hanno consentito all’industria di allargare, in misura prima mai vista, le proprie esportazioni, agevolate dall’abbattimento delle barriere doganali in Europa. Tuttavia, pur se realizzato sulla pelle dei lavoratori (bassi salari), il miracolo ha giovato ampiamente anche a questi perché ha fatto aumentare in misura rilevantissima l’occupazione.
Dopo il 1958 i salari hanno invece cominciato a crescere, specie nel 1961-64, adeguandosi ai livelli degli altri Paesi Europei industrializzati. La crescita dei salari ha fatto entrare anche l’Italia nella fase dei consumi di massa e della società del benessere, profondamente diversa da quella tradizionale dal punto di vista sia economico che sociale.
Il miracolo economico a Montebelluna
La positiva congiuntura economica, che permette ai consumatori di utilizzare una parte rilevante del proprio reddito per acquistare beni per il tempo libero, e la diffusione di massa delle discipline sportive invernali favoriscono lo sviluppo delle aziende montebellunesi.
Le aziende produttrici di scarponi sono una trentina. Però solo tre vantano una struttura di tipo industriale (messe assieme occupano circa 600 addetti).
La grossa intuizione è quella che riguarda lo scarpone da sci, come prodotto il cui mercato sarà destinato ad ampliarsi negli anni avvenire grazie al nuovo stile di vita che andava evolvendosi.
Ora si riforniscono esclusivamente i grossisti. (Giovanni Caberlotto)
A queste aziende leader, fanno seguito un nutrito gruppo di imprese a produzione suddivisa tra scarponi, doposcì, pedule, scarpe da passeggio, etc., che occasionalmente svolgono anche lavorazioni per conto delle aziende maggiori”.
Nel 1960, realizzai finalmente il mio progetto e mi misi in proprio. Facevo dei campioni di scarpe, li sistemavo in una valigia, dietro la vespa, e andavo a venderli a Bergamo e nell’Alto Adige, con qualsiasi tempo.
Non riuscii a vendere subito i miei modelli perché la gente non aveva fiducia nelle mie novità: ho prodotto il primo scarpone da roccia a fondo chiuso. Poi è arrivata la fortuna. I commercianti altoatesini mi mandarono un rappresentante: il primo giro durò una settimana e vendetti 2.000 paia di scarpe.
Nei primi due anni di attività lavoravo da solo (tenevo anche la contabilità), senza operai, aiutato da mia moglie.
Il lavoro funzionava così: io tagliavo, mia moglie cuciva. Poi premontavo le scarpe e le portavo ad Asolo (anche in bicicletta) per cucire la suola. Finivo a casa il lavoro e le spedivo. (Dino Signori)
Siccome
trovare lavoro nel distretto è più facile, il fenomeno dell’emigrazione si
riduce notevolmente
Le innovazioni degli anni
‘60
Durante gli anni ‘60 la domanda di scarponi da sci cresce in modo assai marcato, passando dalle 180.000 paia del 1963 alle 700.000 paia nel 1969.
Mentre le innovazioni che interessano la scarpa da montagna sono modeste (ora i mastici sono sufficienti per poter eliminare la cucitura della suola che viene incollata all’intersuola; la tomaia con anelli aiuta il tiraggio dei lacci; lo snodo posteriore facilita la piegatura dello stinco), lo scarpone da sci, diventato il primo attore del settore calzaturiero, conosce una stagione di importanti innovazioni.
La leva (1962)
Dopo una gestazione di ben dieci anni (la casa svizzera Henke aveva messo a punto dei prototipi già nel 1952), fa la sua apparizione la leva o gancio, in metallo.
La comparsa della leva rappresenta un’altra pietra miliare nella storia dello scarpone da sci, consentendo una chiusura ben più rapida ed omogenea rispetto ai tradizionali lacci e garantendo la costanza della chiusura; i lacci infatti, con l’uso e l’umidità della neve, si allentavano, rendendo necessari continui riaggiustamenti.
Negli anni successivi la leva subisce modifiche e perfezionamenti ad opera di molte aziende, ma non si discosta molto dal suo aspetto originario (la innovazione più significativa riguarda l’impiego delle leghe leggere a base di alluminio) ed ancora oggi è il sistema universalmente adottato.
Durante gli anni ‘60 la domanda di scarponi da sci cresce in modo assai marcato, passando dalle 180.000 paia del 1963 alle 700.000 paia nel 1969.
Mentre le innovazioni che interessano la scarpa da montagna sono modeste (ora i mastici sono sufficienti per poter eliminare la cucitura della suola che viene incollata all’intersuola; la tomaia con anelli aiuta il tiraggio dei lacci; lo snodo posteriore facilita la piegatura dello stinco), lo scarpone da sci, diventato il primo attore del settore calzaturiero, conosce una stagione di importanti innovazioni.
La leva (1962)
Dopo una gestazione di ben dieci anni (la casa svizzera Henke aveva messo a punto dei prototipi già nel 1952), fa la sua apparizione la leva o gancio, in metallo.
La comparsa della leva rappresenta un’altra pietra miliare nella storia dello scarpone da sci, consentendo una chiusura ben più rapida ed omogenea rispetto ai tradizionali lacci e garantendo la costanza della chiusura; i lacci infatti, con l’uso e l’umidità della neve, si allentavano, rendendo necessari continui riaggiustamenti.
Negli anni successivi la leva subisce modifiche e perfezionamenti ad opera di molte aziende, ma non si discosta molto dal suo aspetto originario (la innovazione più significativa riguarda l’impiego delle leghe leggere a base di alluminio) ed ancora oggi è il sistema universalmente adottato.
La
vulcanizzazione e la iniezione della suola (1965/66)
Vi sono due ulteriori importanti innovazioni, non appariscenti sul piano estetico, ma fondamentali su quello tecnologico e funzionale: la vulcanizzazione e l’“iniezione” della suola.
Fino ad allora la suola veniva preparata a parte, unendo diversi strati di vari tipi di cuoio e poi il tutto veniva cucito ed incollato alla tomaia. Con la vulcanizzazione prima e l’iniezione poi, la suola viene formata a caldo, a diretto contatto con la tomaia, costituendo con questa, una volta solidificatasi la miscela gommosa, corpo unico. Senza entrare in dettagli tecnologici, basti dire che l’iniezione è un metodo più rapido della vulcanizzazione.
L’introduzione di tali metodi consente oltre che considerevoli risparmi di tempo, con conseguente aumento della produttività, anche un notevole miglioramento del prodotto finito, in quanto dotato di una suola più rigida, completamente impermeabile e praticamente indeformabile.
E’ in questo periodo che ha inizio fra le aziende del settore, inclusi i produttori di sci e attacchi, una serie di contatti che porteranno alla cosiddetta normalizzazione cioè alla definizione di tutta una serie di misure standard da rispettare in fase di produzione e tali da permettere l’intercambiabilità fra i diversi modelli e le varie marche; questo anche a tutela del consumatore.
La normalizzazione non è un capitolo chiuso, anzi, l’intera materia è in continuo aggiornamento ed è giunta oramai a regolamentare ogni minimo aspetto del prodotto.
Il cuoio plastificato (1967)
Il cuoio della tomaia presentava però una serie di inconvenienti: poca impermeabilità pur se trattato chimicamente; ammorbidimento ed afflosciamento in presenza di umidità; eccessiva vulnerabilità all’abrasione; gamma cromatica pressoché inesistente. Si comincia a ricoprire il cuoio con sottili fogli di poliuretano, spessi da 0,8 a 1,2 mm. Il poliuretano, che è un derivato di idrocarburi e si presenta anche simile ad un foglio di plastica, viene incollato al cuoio con speciali resine. Il tutto è poi tagliato, cucito e rifinito secondo il metodo tradizionale. La scarpa risulta più rigida e compatta, impermeabile, ed è inoltre offerta in una vasta gamma di colori brillanti, soddisfacendo anche le esigenze estetiche dello sciatore, che può meglio intonarla all’abbigliamento.
Vi sono due ulteriori importanti innovazioni, non appariscenti sul piano estetico, ma fondamentali su quello tecnologico e funzionale: la vulcanizzazione e l’“iniezione” della suola.
Fino ad allora la suola veniva preparata a parte, unendo diversi strati di vari tipi di cuoio e poi il tutto veniva cucito ed incollato alla tomaia. Con la vulcanizzazione prima e l’iniezione poi, la suola viene formata a caldo, a diretto contatto con la tomaia, costituendo con questa, una volta solidificatasi la miscela gommosa, corpo unico. Senza entrare in dettagli tecnologici, basti dire che l’iniezione è un metodo più rapido della vulcanizzazione.
L’introduzione di tali metodi consente oltre che considerevoli risparmi di tempo, con conseguente aumento della produttività, anche un notevole miglioramento del prodotto finito, in quanto dotato di una suola più rigida, completamente impermeabile e praticamente indeformabile.
E’ in questo periodo che ha inizio fra le aziende del settore, inclusi i produttori di sci e attacchi, una serie di contatti che porteranno alla cosiddetta normalizzazione cioè alla definizione di tutta una serie di misure standard da rispettare in fase di produzione e tali da permettere l’intercambiabilità fra i diversi modelli e le varie marche; questo anche a tutela del consumatore.
La normalizzazione non è un capitolo chiuso, anzi, l’intera materia è in continuo aggiornamento ed è giunta oramai a regolamentare ogni minimo aspetto del prodotto.
Il cuoio plastificato (1967)
Il cuoio della tomaia presentava però una serie di inconvenienti: poca impermeabilità pur se trattato chimicamente; ammorbidimento ed afflosciamento in presenza di umidità; eccessiva vulnerabilità all’abrasione; gamma cromatica pressoché inesistente. Si comincia a ricoprire il cuoio con sottili fogli di poliuretano, spessi da 0,8 a 1,2 mm. Il poliuretano, che è un derivato di idrocarburi e si presenta anche simile ad un foglio di plastica, viene incollato al cuoio con speciali resine. Il tutto è poi tagliato, cucito e rifinito secondo il metodo tradizionale. La scarpa risulta più rigida e compatta, impermeabile, ed è inoltre offerta in una vasta gamma di colori brillanti, soddisfacendo anche le esigenze estetiche dello sciatore, che può meglio intonarla all’abbigliamento.
1966/67
Alcune aziende (Alpinestars, Dolomite, Sidi) presentano modelli ad entrata posteriore.
L’innovazione viene accolta con curiosità, ma non ottiene qul successo commerciale di cui godrà negli anni ‘80.
Negli anni ‘60 è ancora centrale la figura del modellista attorno al quale ruota tutta l’organizzazione del lavoro. L’orlatura invece è una mansione prevalentemente femminile.
Alcune aziende (Alpinestars, Dolomite, Sidi) presentano modelli ad entrata posteriore.
L’innovazione viene accolta con curiosità, ma non ottiene qul successo commerciale di cui godrà negli anni ‘80.
Negli anni ‘60 è ancora centrale la figura del modellista attorno al quale ruota tutta l’organizzazione del lavoro. L’orlatura invece è una mansione prevalentemente femminile.
Il consorzio fantasma
In un’intervista di Walter Tobagi alcuni imprenditori fanno la proposta di costituire un consorzio, consapevoli peraltro che i tempi non sono maturi:
Sciare: Negli Stati Uniti fino a qualche anno fa, la gente sciava soprattutto sull’acqua, poi ha scoperto la neve.
Ora le prospettive sono favolose . . .
Vaccari: Dicono che nel ‘70 ci saranno 10 milioni di sciatori.
Caberlotto: Per accaparrarsi quel mercato, sono in lotta settantatre marche fabbricanti di scarponi.
Sciare: Non sarebbe forse conveniente, per tutti voi, stabilire una forma di collaborazione, per conquistare in blocco questo enorme mercato?
Munari: Quindici anni fa si erano svolte alcune riunioni per l’applicazione di determinati prodotti, per una determinata produzione. Purtroppo quest’accordo è andato a Patrasso: chi l’ha interpretato in un modo, chi in un altro.
Sciare: Non ritenete che un’azione consorziata possa avere degli effetti molto positivi? Non sarebbe possibile creare una specie di marchio di qualità per i produttori di Montebelluna?
Vaccari: Non bisogna dimenticare che in America, l’industria nostra è un po’ frattaglia del mercato. Piuttosto, io vedrei una cosa del genere in Europa, in particolare nel Nord.
Caberlotto: Sarebbe senz’altro interessante un “consorzio” ma non esistono in questo momento le premesse per realizzarlo.
Annovi: Io invece auspicherei un’organizzazione di questo genere. Forse perché io sono cresciuto in un ambiente diverso da Montebelluna.
De Faveri: Anch’io lo vedrei. Ma occorrerebbe una base di sincerità, che io stesso mi rifiuterei di mettere per primo sul tavolo.
Munari: Si potrebbe costituire una specie di società comune. Il Consorzio potrebbe avere una base seria vendendo una scarpa chiamata Montebelluna o Cornuda o Maser.
Dovrebbero farne parte tutti i fabbricanti volenterosi. Ognuno potrebbe quotarsi per un quantitativo o per un determinato tipo. Naturalmente, nel Consorzio, nessuno dovrebbe essere sacrificato. E il Consorzio garantirebbe ai membri la vendita di un certo numero di scarponi. In passato noi eravamo anche sulla strada di questo Consorzio. Poi, per motivi che avevano scarsa attinenza con le scarpe, l’idea non è stata portata avanti. Ma nulla vieta che possa essere ripresa nel futuro.
De Faveri: Il Consorzio, forse, più che per le vendite può servire per l’acquisto. Unendoci, potremmo acquistare le materie prime a prezzi notevolmente inferiori.
(Fonte: Rivista SCIARE - 1967)
In un’intervista di Walter Tobagi alcuni imprenditori fanno la proposta di costituire un consorzio, consapevoli peraltro che i tempi non sono maturi:
Sciare: Negli Stati Uniti fino a qualche anno fa, la gente sciava soprattutto sull’acqua, poi ha scoperto la neve.
Ora le prospettive sono favolose . . .
Vaccari: Dicono che nel ‘70 ci saranno 10 milioni di sciatori.
Caberlotto: Per accaparrarsi quel mercato, sono in lotta settantatre marche fabbricanti di scarponi.
Sciare: Non sarebbe forse conveniente, per tutti voi, stabilire una forma di collaborazione, per conquistare in blocco questo enorme mercato?
Munari: Quindici anni fa si erano svolte alcune riunioni per l’applicazione di determinati prodotti, per una determinata produzione. Purtroppo quest’accordo è andato a Patrasso: chi l’ha interpretato in un modo, chi in un altro.
Sciare: Non ritenete che un’azione consorziata possa avere degli effetti molto positivi? Non sarebbe possibile creare una specie di marchio di qualità per i produttori di Montebelluna?
Vaccari: Non bisogna dimenticare che in America, l’industria nostra è un po’ frattaglia del mercato. Piuttosto, io vedrei una cosa del genere in Europa, in particolare nel Nord.
Caberlotto: Sarebbe senz’altro interessante un “consorzio” ma non esistono in questo momento le premesse per realizzarlo.
Annovi: Io invece auspicherei un’organizzazione di questo genere. Forse perché io sono cresciuto in un ambiente diverso da Montebelluna.
De Faveri: Anch’io lo vedrei. Ma occorrerebbe una base di sincerità, che io stesso mi rifiuterei di mettere per primo sul tavolo.
Munari: Si potrebbe costituire una specie di società comune. Il Consorzio potrebbe avere una base seria vendendo una scarpa chiamata Montebelluna o Cornuda o Maser.
Dovrebbero farne parte tutti i fabbricanti volenterosi. Ognuno potrebbe quotarsi per un quantitativo o per un determinato tipo. Naturalmente, nel Consorzio, nessuno dovrebbe essere sacrificato. E il Consorzio garantirebbe ai membri la vendita di un certo numero di scarponi. In passato noi eravamo anche sulla strada di questo Consorzio. Poi, per motivi che avevano scarsa attinenza con le scarpe, l’idea non è stata portata avanti. Ma nulla vieta che possa essere ripresa nel futuro.
De Faveri: Il Consorzio, forse, più che per le vendite può servire per l’acquisto. Unendoci, potremmo acquistare le materie prime a prezzi notevolmente inferiori.
(Fonte: Rivista SCIARE - 1967)