La prima guerra mondiale
La
prima guerra mondiale, prima grande esperienza di massa del popolo
italiano, fa venire al pettine i nodi della scarsa “egemonia”
esercitata dalla classe dirigente, timorosa che il popolo in armi le
sfugga di mano e non faccia il proprio dovere nelle trincee. Infatti
l’intero conflitto viene condotto dalle autorità militari e da
Sonnino, divenuto nel 1914 potentissimo ministro degli Esteri,
all’insegna di una profonda diffidenza nei confronti dei soldati,
tutti considerati potenziali disertori.
Nonostante questo, nei mesi successivi a Caporetto, la linea del Piave viene difesa con valore, tanto che l’esercito italiano può riprendere l’iniziativa e nell’ottobre del 1918 infliggere una sconfitta decisiva all’esercito austriaco a Vittorio Veneto. Pochi giorni dopo, il 4 novembre, l’Austria firma l’armistizio con l’Italia.
Come vive la società rurale l’esperienza della guerra?
Per il contadino divenuto soldato i traumi sono molti: il distacco dal luogo sempre visto, dalla famiglia, i nuovi rapporti con compagni e superiori, il continuo contatto con scoppi, sangue, morte.
Non solo questo: la guerra cambia anche il modo di pensare e comunicare degli uomini. il contadino costretto, per avere notizie della famiglia, a scrivere o farsi scrivere lettere, deve abbandonare il dialetto sempre usato ed iniziare ad esprimersi in italiano.
Il conflitto fa compiere alla società italiana un salto di qualità, sebbene in maniera improvvisa e traumatica: si passa da tante piccole comunità isolate a un’unica grande comunità d’individui che sono stati segnati dalle stesse esperienze. La guerra ha fatto nascere in Italia la società di massa e il processo continuerà con la diffusione della radio prima, e della televisione poi.
Per i paesi del Montello la guerra è un cataclisma.
La sua dichiarazione viene salutata dalle Autorità locali con enfasi gonfia di patriottismo. Il Sindaco G. B. Dall’Armi si rivolge ai cittadini con un proclama:
1915
S.M. il Re, Conformandosi ai voti del Parlamento ed alle manifestazioni del Paese” ha dichiarato guerra all’Austria. In quest’ora solenne qualunque dissenso deve sparire. Diamo fiori e plausi ai prodi che accorrono sotto le bandiere della Patria; assistiamo le loro famiglie, concorriamo con l’opera pacifica, cordiale fraterna a ringagliardare il loro spirito, ad accrescere le loro virtù belliche, a rendere così più sicura e sollecita la vittoria finale”.
I 400 emigranti che, a motivo della guerra, hanno dovuto rimpatriare dalla Germania, si trovano disoccupati. Per loro si costituisce un comitato che, “fatto appello alla filantropia degli abitanti” raggranella pochi soldi.
1916
Durante il primo anno di guerra Montebelluna diviene un centro adatto per installazioni di servizi di retrovia. A Villa Binetti si stabilisce l’intendenza della IV° armata, ospedali militari vengono allestiti a Villa Marchesi in Biadene, a Villa Morassutti in Visnà, nella casa Convitto dei Cotonifici Trevigiani, mentre nella Villa Stocco, poi Rossi a Posmon si crea un deposito di convalescenza e tappa.Spesso, i soldati che si recano al fronte sostano per una notte ospiti nelle case, qualche volta sfilano per via Vittorio Emanuele come in occasione della Rivista dell’11 Novembre.
Le nostre truppe, male addestrate e male equipaggiate vengono lanciate in quattro offensive lungo l’Isonzo e sul Carso.
I risultati contro le munitissime posizioni austriache sono modesti. I progressi compiuti dalla tecnologia militare avevano trasformato gli attacchi frontali in spaventose carneficine.
Nonostante la propaganda bellica, che dallo slogan “ama la tua patria e difendila” era passata a quello “odia il tuo nemico e uccidilo” la guerra appare ormai a tutti, civili e soldati un’atroce e insensata realtà.
Questa presa di coscienza è testimoniata dalla seguente lettera anonima scritta e consegnata al Sindaco di Montebelluna nell’agosto 1916.
Carissimo mio Conserte Vengo alei con questa mia letera alei mi faicia il piacere di Consegnarghela al Sindaco del suo paese.
Sentitte voialtri signori che avete messo in piedi la guera Adeso sono venuto ala fine di Capi siete voialttri signori che fate andar vanti questa guera per disterminire il populo baso ma adeso Basta le ora che dì farla finita li prego che sia la pace dentro de 15 giorni sino noi abiamo bel che pensato che cosa falre di voialtri.
Basta le ora che dì farla finita li prego che sia la pace dentro de 15 giorni sino noi abiamo bel che pensato che cosa fare di voialtri.
Vedendo tante vitime perdute su pertimonti e tante povere done vedove che resta e quanti figli che resta orfani sen il padre e che patisano la fame e pertanto Colpa vostra che vete vasuo la guera.
Pensate che la sia finita più presto che sia posibile sino abiamo bel che pensato di fare dela vostra pele pensate bene che noi volliamo la pace sino per voialtri e bruta.
Certo perchè noi siamo stanchi e fin adeso abiamo fato guera Contro i todeschi e adeso volliamo guera Contro de voialtri signori che avete vosuo la guera per bevere e mangiare voialtri signori e noi farmi masare qui nele tere straniere voliamo la pace volliamo vedere le nostre moglie e le nostre famiglie sino per voialtri e bruta e mellio che cercate la pace e meglio per voi altri e alora siamo intesi
Mi fai una Gintiesa diconsegnaghela al sindaco.
Il Comune emana disposizioni sul razionamento dei viveri.
Sarà necessario, agli effetti del razionamento, distinguere la popolazione del Comune in varie categorie. I contadini consumano assai più polenta che pane; gli operai, braccianti, artigiani in genere e persone di basso servizio consumano in media meno polenta e più pane dei primi; le persone del medio ceto consumano più pane che polenta; i benestanti consumano assia maggior quantità di pane (Fonte: Museo dello Scarpone).
Nonostante questo, nei mesi successivi a Caporetto, la linea del Piave viene difesa con valore, tanto che l’esercito italiano può riprendere l’iniziativa e nell’ottobre del 1918 infliggere una sconfitta decisiva all’esercito austriaco a Vittorio Veneto. Pochi giorni dopo, il 4 novembre, l’Austria firma l’armistizio con l’Italia.
Come vive la società rurale l’esperienza della guerra?
Per il contadino divenuto soldato i traumi sono molti: il distacco dal luogo sempre visto, dalla famiglia, i nuovi rapporti con compagni e superiori, il continuo contatto con scoppi, sangue, morte.
Non solo questo: la guerra cambia anche il modo di pensare e comunicare degli uomini. il contadino costretto, per avere notizie della famiglia, a scrivere o farsi scrivere lettere, deve abbandonare il dialetto sempre usato ed iniziare ad esprimersi in italiano.
Il conflitto fa compiere alla società italiana un salto di qualità, sebbene in maniera improvvisa e traumatica: si passa da tante piccole comunità isolate a un’unica grande comunità d’individui che sono stati segnati dalle stesse esperienze. La guerra ha fatto nascere in Italia la società di massa e il processo continuerà con la diffusione della radio prima, e della televisione poi.
Per i paesi del Montello la guerra è un cataclisma.
La sua dichiarazione viene salutata dalle Autorità locali con enfasi gonfia di patriottismo. Il Sindaco G. B. Dall’Armi si rivolge ai cittadini con un proclama:
1915
S.M. il Re, Conformandosi ai voti del Parlamento ed alle manifestazioni del Paese” ha dichiarato guerra all’Austria. In quest’ora solenne qualunque dissenso deve sparire. Diamo fiori e plausi ai prodi che accorrono sotto le bandiere della Patria; assistiamo le loro famiglie, concorriamo con l’opera pacifica, cordiale fraterna a ringagliardare il loro spirito, ad accrescere le loro virtù belliche, a rendere così più sicura e sollecita la vittoria finale”.
I 400 emigranti che, a motivo della guerra, hanno dovuto rimpatriare dalla Germania, si trovano disoccupati. Per loro si costituisce un comitato che, “fatto appello alla filantropia degli abitanti” raggranella pochi soldi.
1916
Durante il primo anno di guerra Montebelluna diviene un centro adatto per installazioni di servizi di retrovia. A Villa Binetti si stabilisce l’intendenza della IV° armata, ospedali militari vengono allestiti a Villa Marchesi in Biadene, a Villa Morassutti in Visnà, nella casa Convitto dei Cotonifici Trevigiani, mentre nella Villa Stocco, poi Rossi a Posmon si crea un deposito di convalescenza e tappa.Spesso, i soldati che si recano al fronte sostano per una notte ospiti nelle case, qualche volta sfilano per via Vittorio Emanuele come in occasione della Rivista dell’11 Novembre.
Le nostre truppe, male addestrate e male equipaggiate vengono lanciate in quattro offensive lungo l’Isonzo e sul Carso.
I risultati contro le munitissime posizioni austriache sono modesti. I progressi compiuti dalla tecnologia militare avevano trasformato gli attacchi frontali in spaventose carneficine.
Nonostante la propaganda bellica, che dallo slogan “ama la tua patria e difendila” era passata a quello “odia il tuo nemico e uccidilo” la guerra appare ormai a tutti, civili e soldati un’atroce e insensata realtà.
Questa presa di coscienza è testimoniata dalla seguente lettera anonima scritta e consegnata al Sindaco di Montebelluna nell’agosto 1916.
Carissimo mio Conserte Vengo alei con questa mia letera alei mi faicia il piacere di Consegnarghela al Sindaco del suo paese.
Sentitte voialtri signori che avete messo in piedi la guera Adeso sono venuto ala fine di Capi siete voialttri signori che fate andar vanti questa guera per disterminire il populo baso ma adeso Basta le ora che dì farla finita li prego che sia la pace dentro de 15 giorni sino noi abiamo bel che pensato che cosa falre di voialtri.
Basta le ora che dì farla finita li prego che sia la pace dentro de 15 giorni sino noi abiamo bel che pensato che cosa fare di voialtri.
Vedendo tante vitime perdute su pertimonti e tante povere done vedove che resta e quanti figli che resta orfani sen il padre e che patisano la fame e pertanto Colpa vostra che vete vasuo la guera.
Pensate che la sia finita più presto che sia posibile sino abiamo bel che pensato di fare dela vostra pele pensate bene che noi volliamo la pace sino per voialtri e bruta.
Certo perchè noi siamo stanchi e fin adeso abiamo fato guera Contro i todeschi e adeso volliamo guera Contro de voialtri signori che avete vosuo la guera per bevere e mangiare voialtri signori e noi farmi masare qui nele tere straniere voliamo la pace volliamo vedere le nostre moglie e le nostre famiglie sino per voialtri e bruta e mellio che cercate la pace e meglio per voi altri e alora siamo intesi
Mi fai una Gintiesa diconsegnaghela al sindaco.
Il Comune emana disposizioni sul razionamento dei viveri.
Sarà necessario, agli effetti del razionamento, distinguere la popolazione del Comune in varie categorie. I contadini consumano assai più polenta che pane; gli operai, braccianti, artigiani in genere e persone di basso servizio consumano in media meno polenta e più pane dei primi; le persone del medio ceto consumano più pane che polenta; i benestanti consumano assia maggior quantità di pane (Fonte: Museo dello Scarpone).
Un soldato montebellunese,
prigioniero degli Austriaci a Mathausen, scrive a suo padre. La
consuetudine del tempo voleva che i figli dessero ai genitori del
“Voi”; ma i sentimenti che traspaiono dalla lettera sono di calda
e autentica umanità. Il prigioniero chiede qualche sigaro, un pezzo
di sapone, qualche paia di calzoni, un pezzo di “saccolo e lardo”
e promette di assistere il padre fino alla morte.
1917
K.U.F. KRIEGSGEFANGENLAGER MAUTHAUSEN A.D.
KRIEGSGEFANGENEN - KORRESPONDENZ
Carissimo Padre Vi scrivo questa mia letterina per farvi sapere lottimo stato della mia salute e cozì mi auguro avoi tutti di famiglia e tutti i miei fratelli. Caro Padre vi faccio sapere che oggi ho ricevuto un pacco dal Comitato diassistensa civile del nostro paese e conteneva pane e cioccholatta e pastina io sono molto per ringrassiandola del suo ricordo che mià mandato amé prigioniero e lo saluto con tutto il mio cuore e le auguro buona permanensa - Caro padre condipiù questa settimana ho ricevuto un pacco da caza dipane di hg. 5 io sono molto per ringrassiarvi della vostra premura che adesso ne ricevo due e anche tre al meze delle volte e vi prego che quanda mé spedite i pacchi qualche Sigharo e un pesso di sapone e qualche paia di calsoni, non state avere pensiero della roba che lavada perduta che la ricevo regolarmente sia da caza come dalla croce rossa - Caro Padre vi prego che avete da continuare come avete fatto fino adesso che verrà un giono che rimanerete contento del vostro figlio che vi assisterò fino al giorno della vostra morte, vi faccio sapere che ho ricevuto le fottografie delle mie sorelle e delle mie cugine - Caro Padre avrei piacere che mi spedissi un pesso di saccola e lardo in mezzo al pane e se potete abbonarmi anche amilano avrei piacere ma io non vi sforso fate come vipare e piace se vole spedirmi dacaza di più ho se volete a farmi un naltro abbonamento.
Altro non mi alungho solo che salutarvi e bracciarvi di vero cuore voi Padre e tutti i miei fratelli e sorelle le auguro buona salute saluti a mio Zio e Zia comprezo i miei cugini e cugine distinti saluti a mie cognate a un baccio ai bambini e le bambine un saluto alla mia comare Monica un bacio a mio fiosso.
Distinti saluti al mio gregge Pastore e al sachrestario del paese. - Saluti ai miei parenti un saluto al mio amico Comasetto .
Addio prego Risposta.
Riceveta distinti saluti al mio amico prigioniero.
(Lettera di un prigioniero nel lager di Mathausen al padre - 20 maggio 1917)
Mentre in Russia la rivoluzione bolscevica liquida nell’ottobre del 1917 la monarchia zarista, sul fronte italiano l’esercito austriaco, con l’appoggio di sette divisioni tedesche, sfonda a Caporetto le linee di resistenza e avanza per circa 150 chilometri.
Per paura dell’accerchiamento, la ritirata delle nostre truppe si trasforma in rotta disordinata, che permette agli austro-tedeschi di prendere numerosi prigionieri e di impossessarsi di un ricco bottino.
Il pericolo che le armate nemiche dilaghino nella pianura padana è quanto mai reale.
Le autorità locali, prive di istruzioni superiori, esortano alla calma incitando, con manifesti, la gente a rimanere fiduciosa; ma poi sono gli stessi firmatari che se ne vanno. Amministratori e impiegati lasciano infatti Montebelluna; sul posto rimangono i sacerdoti, con il prevosto Mons. Furlan in testa.
Così Piccolo Giocondo, in una lettera datata 8 gennaio 1918, racconta il dramma dei profughi che dai paesi della destra Piave si riversano su Montebelluna, dopo Caporetto.
1918
Carissimo fillio due giorni fa ho ricevuto un tuo bilieto la quale abbiamo inteso della tua buona salute e cosi e di noi tutti ho inteso le tue posisioni e che vuoi sapere dei nostri interesi di casa e del tuo fratello giovanni e del tuo cugino Amelio.
Giovanni lavora ancora inferovia e stato a casa 20 giorni quando ghiera la retirata perche allora della retirata tutti si erano impauriti qui si aveduto una dona chea fato canbio una vaca con una oca poi sia veduto un uomo che a dato unaltra vaca per un chilo di pomi questi due venivano da di sopra della piave che ora la si ritrovani itedeschi i nostri interessi non vano ne bene ne male a Montebelluna non ce più mercato nianche a Castelfranco noi le abiamo dato 2 bestie al giorno a lire 1,50 al chilo a peso vivo . . .
1918
Nonostante gli ordini di sgombero, durante la guerra rimangono nel comune circa 9.000 persone (dalle 15.000 che costituiscono la popolazione all’inizio delle ostilità) in gran parte ammassate nelle case sparse per la campagna a mezzodì del capoluogo. Sono soprattutto contadini, molti dei quali col permesso delle autorità militari, vanno ad eseguire lavori agricoli in zone già sgombrate e nelle notti lunari si spingono fino al Montello per falciare il fieno e mietere il frumento.
La vita di chi non ha abbandonato Montebelluna è resa difficile non solo dai nemici, ma gli stessi difensori creano qualche problema.
gennaio 1918
Una quarantina di famiglie biadenesi si rivolge al Commissario prefettizio per protestare contro i danni e i vandalismi operati dai soldati inglesi, che per scaldarsi durante l’inverno rigidissimo spogliavano le case dei contadini.
I sottoscritti del paese di Biadene protestano é pregano la Signoria vostra di frenare imediatamente i vandalismi e distruzione delle proprie case di abitazione, avanti ai nostri occhi di bruciare Tavole armadi casse, Botti, Tini, Scale, Suolo, Travature Porte, Balconi, Talerini a lastre, Scanzie, e Focolari delle proprie abitazioni, dei poveri Profughi, che dal 10 Novembre 1917 a dovuto lontanarsi dalla sua propria abitazione, doppo tanti anni di sacreficio di dovere sofrire nelle terre foreste, é ad ungiorno da ritornare nelle nostre case calpestate dai nostri alleati Inglesi.
Sarebbe da compatire se il nostro nemico gettassero delle granate ho qualche bomba sulle nostre case di abitazione, quantoché, é di vedere questa distruzione dai nostri alleati, ogni qual giorno si vedeva partire dei carri d’artiglieria pieno di Tavole, Porte, Scuri, Travature senza farci nessuna oservazione dei propri officiali.
Se per proprio bisogno ocoressero la legna alla Truppa alleata sarebbe di concedergli tutte le piante lungo la strada Provinciale i Gelsi, Salici, Vitti, é tante altre piante molto utile nell’avenire perle nostre proprie Famiglie disgraziate.
Facciamo preghiera al nostro Commissario Prefettizio di Montebelluna di prendere notta di cio che sono sucesso, di avitare in seguito la sudetta distruzione al più presto possibile per Tranquilare le nostre Famiglie.
Con tutta osservanza noi tutti qui sotto Firmiamo
Dorigo Domenico, Robazza Pasquale, Merotto, Costantin Floriano, Granzotto Francesco, Andreola Fortunato, Michielin Floriano, Gaio Antonio, Zamprogno Francesco, Maria Vittorio, Michielin Isidoro, Meneghinotto Giuseppe, Durante Natale fu Luigi, Martinello Giuseppe, Defaveri Gregorio, Martignago Angelo, Poloni Umberto, Durante Pietro fu Giovanni, Per Pizzolotto, Gallina Angelo, Alessandro Bressan, Miotto Vittorio, Binotto Marco, Tormena Giuseppe, Andreola Giovanni, Lorenzon Antonio, Marcolin Anna Per Marito, Rosato Giuseppe, Santolin Riccardo, Rosato Antonio, Carella, Stecca Francesco, Rossi Luigi, Stecca Maria Maritata Brombal Edoardo, Sartor Gaetano, Piovesan Alberto, Binotto Giovanni, Binotto Pasquale.
1918
Una Relazione al Ministro dell’Agricoltura descrive i saccheggi causati dai soldati italiani in rotta dopo Caporetto.
I bovini della Provincia di Treviso sono straordinariamente diradati: più di una metà del bestiame è caduta in mano al nemico; un’altra parte è stata requisita, diremo così, irregolarmente durante la ritirata dai vari Commissariati dei Corpi (in un solo Comune, quello di Maser, furono requisiti 884 capi in 10 giorni).
Ho veduto io stesso migliaia di viti private del loro palo di sostegno, migliaia di piante scalvate senza ordine od arte, migliaia di giovani piante di gelso scorteggiate dal morso dei muli, seminati calpestati, siepi strappate, cancelli divelti, capanne e ricoveri abbattuti, depositi di paglia e foraggio consumati o dispersi senza notare le sottrazioni abusive di prodotti, pollami, materiali, attrezzi, ecc.
Gli agricoltori si domandano: potremo fare i nostri allevamenti? La foglia non manca; la manodopera femminile pure esiste, non mancano gli attrezzi, quelli che possono mancare sono i locali.
I locali per la bachicoltura sono attualmente, in quasi tutte le aziende, occupati da truppe.
(Relazione al Ministro dell’Agricoltura 22 febbraio 1918)
La guerra a Montebelluna in cifre: 40 bombardamenti aerei, 41 tiri di artiglieria, 20 case distrutte, 160 rese inabitabili, molte danneggiate, 240 caduti.
Il tutto fu ricompensato da una croce al merito di guerra.
Eppure, malgrado tanto dolore, a guerra porta a Montebelluna il meglio della tecnologia dell’epoca non solo militare: cannoni, dirigibili, aeroplani, etc.) ma anche civile: auto, camion, nuovi alimenti, nuove medicine, nuove abitudini . . . Durante gli ultimi mesi ai piedi del Montello si accalcano migliaia di soldati provenienti da tutte le regioni d’Italia, dalla Francia, dall’Inghilterra, dagli Stati Uniti . . .
Questa prepotente irruzione della modernità dà uno scossone formidabile al mondo contadino.
Gli scarperi durante la guerra
Durante la guerra le forniture militari dei laboratori montelliani sono limitate.
Le imprese artigianali, numerose ma di modeste dimensioni, non sono in grado di intraprendere iniziative importanti e neppure di curare le indispensabili pubbliche relazioni che stanno alla base dei contratti di fornitura. Di conseguenza vengono sottoscritti soltanto alcuni piccoli appalti per quantitativi contenuti o di immediata necessità, che rientrano nelle competenze dei Comandi Militari locali ai quali è più facile accedere.
Tuttavia anche la guerra rinsalda i legami dei produttori montelliani con la scarpa da montagna.
Il ruolo delle donne
Durante la guerra la responsabilità delle poche aziende calzaturiere ricade sulle spalle delle donne.
Una novità, frutto della necessità non ben digerita dalla mentalità del tempo.
Ecco Giuseppe Mattielo, alpino in grigioverde. Affidata la fabbrica alla sua gentile signora, Luigia, partì per il fronte ,dove vi fu per tutto il periodo della guerra.
Fu un vero miracolo se,nel frattempo, la moglie riuscì a mantenere, sia pure con qualche anziano operaio, aperta la fabbrica. (Catalogo Alpina)
1917
K.U.F. KRIEGSGEFANGENLAGER MAUTHAUSEN A.D.
KRIEGSGEFANGENEN - KORRESPONDENZ
Carissimo Padre Vi scrivo questa mia letterina per farvi sapere lottimo stato della mia salute e cozì mi auguro avoi tutti di famiglia e tutti i miei fratelli. Caro Padre vi faccio sapere che oggi ho ricevuto un pacco dal Comitato diassistensa civile del nostro paese e conteneva pane e cioccholatta e pastina io sono molto per ringrassiandola del suo ricordo che mià mandato amé prigioniero e lo saluto con tutto il mio cuore e le auguro buona permanensa - Caro padre condipiù questa settimana ho ricevuto un pacco da caza dipane di hg. 5 io sono molto per ringrassiarvi della vostra premura che adesso ne ricevo due e anche tre al meze delle volte e vi prego che quanda mé spedite i pacchi qualche Sigharo e un pesso di sapone e qualche paia di calsoni, non state avere pensiero della roba che lavada perduta che la ricevo regolarmente sia da caza come dalla croce rossa - Caro Padre vi prego che avete da continuare come avete fatto fino adesso che verrà un giono che rimanerete contento del vostro figlio che vi assisterò fino al giorno della vostra morte, vi faccio sapere che ho ricevuto le fottografie delle mie sorelle e delle mie cugine - Caro Padre avrei piacere che mi spedissi un pesso di saccola e lardo in mezzo al pane e se potete abbonarmi anche amilano avrei piacere ma io non vi sforso fate come vipare e piace se vole spedirmi dacaza di più ho se volete a farmi un naltro abbonamento.
Altro non mi alungho solo che salutarvi e bracciarvi di vero cuore voi Padre e tutti i miei fratelli e sorelle le auguro buona salute saluti a mio Zio e Zia comprezo i miei cugini e cugine distinti saluti a mie cognate a un baccio ai bambini e le bambine un saluto alla mia comare Monica un bacio a mio fiosso.
Distinti saluti al mio gregge Pastore e al sachrestario del paese. - Saluti ai miei parenti un saluto al mio amico Comasetto .
Addio prego Risposta.
Riceveta distinti saluti al mio amico prigioniero.
(Lettera di un prigioniero nel lager di Mathausen al padre - 20 maggio 1917)
Mentre in Russia la rivoluzione bolscevica liquida nell’ottobre del 1917 la monarchia zarista, sul fronte italiano l’esercito austriaco, con l’appoggio di sette divisioni tedesche, sfonda a Caporetto le linee di resistenza e avanza per circa 150 chilometri.
Per paura dell’accerchiamento, la ritirata delle nostre truppe si trasforma in rotta disordinata, che permette agli austro-tedeschi di prendere numerosi prigionieri e di impossessarsi di un ricco bottino.
Il pericolo che le armate nemiche dilaghino nella pianura padana è quanto mai reale.
Le autorità locali, prive di istruzioni superiori, esortano alla calma incitando, con manifesti, la gente a rimanere fiduciosa; ma poi sono gli stessi firmatari che se ne vanno. Amministratori e impiegati lasciano infatti Montebelluna; sul posto rimangono i sacerdoti, con il prevosto Mons. Furlan in testa.
Così Piccolo Giocondo, in una lettera datata 8 gennaio 1918, racconta il dramma dei profughi che dai paesi della destra Piave si riversano su Montebelluna, dopo Caporetto.
1918
Carissimo fillio due giorni fa ho ricevuto un tuo bilieto la quale abbiamo inteso della tua buona salute e cosi e di noi tutti ho inteso le tue posisioni e che vuoi sapere dei nostri interesi di casa e del tuo fratello giovanni e del tuo cugino Amelio.
Giovanni lavora ancora inferovia e stato a casa 20 giorni quando ghiera la retirata perche allora della retirata tutti si erano impauriti qui si aveduto una dona chea fato canbio una vaca con una oca poi sia veduto un uomo che a dato unaltra vaca per un chilo di pomi questi due venivano da di sopra della piave che ora la si ritrovani itedeschi i nostri interessi non vano ne bene ne male a Montebelluna non ce più mercato nianche a Castelfranco noi le abiamo dato 2 bestie al giorno a lire 1,50 al chilo a peso vivo . . .
1918
Nonostante gli ordini di sgombero, durante la guerra rimangono nel comune circa 9.000 persone (dalle 15.000 che costituiscono la popolazione all’inizio delle ostilità) in gran parte ammassate nelle case sparse per la campagna a mezzodì del capoluogo. Sono soprattutto contadini, molti dei quali col permesso delle autorità militari, vanno ad eseguire lavori agricoli in zone già sgombrate e nelle notti lunari si spingono fino al Montello per falciare il fieno e mietere il frumento.
La vita di chi non ha abbandonato Montebelluna è resa difficile non solo dai nemici, ma gli stessi difensori creano qualche problema.
gennaio 1918
Una quarantina di famiglie biadenesi si rivolge al Commissario prefettizio per protestare contro i danni e i vandalismi operati dai soldati inglesi, che per scaldarsi durante l’inverno rigidissimo spogliavano le case dei contadini.
I sottoscritti del paese di Biadene protestano é pregano la Signoria vostra di frenare imediatamente i vandalismi e distruzione delle proprie case di abitazione, avanti ai nostri occhi di bruciare Tavole armadi casse, Botti, Tini, Scale, Suolo, Travature Porte, Balconi, Talerini a lastre, Scanzie, e Focolari delle proprie abitazioni, dei poveri Profughi, che dal 10 Novembre 1917 a dovuto lontanarsi dalla sua propria abitazione, doppo tanti anni di sacreficio di dovere sofrire nelle terre foreste, é ad ungiorno da ritornare nelle nostre case calpestate dai nostri alleati Inglesi.
Sarebbe da compatire se il nostro nemico gettassero delle granate ho qualche bomba sulle nostre case di abitazione, quantoché, é di vedere questa distruzione dai nostri alleati, ogni qual giorno si vedeva partire dei carri d’artiglieria pieno di Tavole, Porte, Scuri, Travature senza farci nessuna oservazione dei propri officiali.
Se per proprio bisogno ocoressero la legna alla Truppa alleata sarebbe di concedergli tutte le piante lungo la strada Provinciale i Gelsi, Salici, Vitti, é tante altre piante molto utile nell’avenire perle nostre proprie Famiglie disgraziate.
Facciamo preghiera al nostro Commissario Prefettizio di Montebelluna di prendere notta di cio che sono sucesso, di avitare in seguito la sudetta distruzione al più presto possibile per Tranquilare le nostre Famiglie.
Con tutta osservanza noi tutti qui sotto Firmiamo
Dorigo Domenico, Robazza Pasquale, Merotto, Costantin Floriano, Granzotto Francesco, Andreola Fortunato, Michielin Floriano, Gaio Antonio, Zamprogno Francesco, Maria Vittorio, Michielin Isidoro, Meneghinotto Giuseppe, Durante Natale fu Luigi, Martinello Giuseppe, Defaveri Gregorio, Martignago Angelo, Poloni Umberto, Durante Pietro fu Giovanni, Per Pizzolotto, Gallina Angelo, Alessandro Bressan, Miotto Vittorio, Binotto Marco, Tormena Giuseppe, Andreola Giovanni, Lorenzon Antonio, Marcolin Anna Per Marito, Rosato Giuseppe, Santolin Riccardo, Rosato Antonio, Carella, Stecca Francesco, Rossi Luigi, Stecca Maria Maritata Brombal Edoardo, Sartor Gaetano, Piovesan Alberto, Binotto Giovanni, Binotto Pasquale.
1918
Una Relazione al Ministro dell’Agricoltura descrive i saccheggi causati dai soldati italiani in rotta dopo Caporetto.
I bovini della Provincia di Treviso sono straordinariamente diradati: più di una metà del bestiame è caduta in mano al nemico; un’altra parte è stata requisita, diremo così, irregolarmente durante la ritirata dai vari Commissariati dei Corpi (in un solo Comune, quello di Maser, furono requisiti 884 capi in 10 giorni).
Ho veduto io stesso migliaia di viti private del loro palo di sostegno, migliaia di piante scalvate senza ordine od arte, migliaia di giovani piante di gelso scorteggiate dal morso dei muli, seminati calpestati, siepi strappate, cancelli divelti, capanne e ricoveri abbattuti, depositi di paglia e foraggio consumati o dispersi senza notare le sottrazioni abusive di prodotti, pollami, materiali, attrezzi, ecc.
Gli agricoltori si domandano: potremo fare i nostri allevamenti? La foglia non manca; la manodopera femminile pure esiste, non mancano gli attrezzi, quelli che possono mancare sono i locali.
I locali per la bachicoltura sono attualmente, in quasi tutte le aziende, occupati da truppe.
(Relazione al Ministro dell’Agricoltura 22 febbraio 1918)
La guerra a Montebelluna in cifre: 40 bombardamenti aerei, 41 tiri di artiglieria, 20 case distrutte, 160 rese inabitabili, molte danneggiate, 240 caduti.
Il tutto fu ricompensato da una croce al merito di guerra.
Eppure, malgrado tanto dolore, a guerra porta a Montebelluna il meglio della tecnologia dell’epoca non solo militare: cannoni, dirigibili, aeroplani, etc.) ma anche civile: auto, camion, nuovi alimenti, nuove medicine, nuove abitudini . . . Durante gli ultimi mesi ai piedi del Montello si accalcano migliaia di soldati provenienti da tutte le regioni d’Italia, dalla Francia, dall’Inghilterra, dagli Stati Uniti . . .
Questa prepotente irruzione della modernità dà uno scossone formidabile al mondo contadino.
Gli scarperi durante la guerra
Durante la guerra le forniture militari dei laboratori montelliani sono limitate.
Le imprese artigianali, numerose ma di modeste dimensioni, non sono in grado di intraprendere iniziative importanti e neppure di curare le indispensabili pubbliche relazioni che stanno alla base dei contratti di fornitura. Di conseguenza vengono sottoscritti soltanto alcuni piccoli appalti per quantitativi contenuti o di immediata necessità, che rientrano nelle competenze dei Comandi Militari locali ai quali è più facile accedere.
Tuttavia anche la guerra rinsalda i legami dei produttori montelliani con la scarpa da montagna.
Il ruolo delle donne
Durante la guerra la responsabilità delle poche aziende calzaturiere ricade sulle spalle delle donne.
Una novità, frutto della necessità non ben digerita dalla mentalità del tempo.
Ecco Giuseppe Mattielo, alpino in grigioverde. Affidata la fabbrica alla sua gentile signora, Luigia, partì per il fronte ,dove vi fu per tutto il periodo della guerra.
Fu un vero miracolo se,nel frattempo, la moglie riuscì a mantenere, sia pure con qualche anziano operaio, aperta la fabbrica. (Catalogo Alpina)