La Seconda
Guerra Mondiale in Italia
La
Seconda guerra mondiale iniziò il 1° settembre 1939. Fu una decisione
improvvisa e inaspettata: in un primo tempo Mussolini aveva dichiarato la non
belligeranza dell’Italia a causa dell’assoluta impreparazione militare, e
questo suo ricredersi è stato variamente interpretato dagli storici.
La guerra fin dall’inizio, fu per l’Italia, una serie di insuccessi, ai quali, nella prima fase del conflitto, corse a porre rimedio la Germania, con il risultato però di rendere Mussolini un vero e proprio vassallo di Hitler. Dal 1942, tuttavia, anche l’esercito tedesco iniziò a registrare numerose sconfitte, e questo si ripercosse sul regime del Duce che in Italia si ritrovò ormai avversato non solo in vasti strati della popolazione ma anche ai vertici delle istituzioni, sia del fascismo stesso che della monarchia. Questo generale malcontento si concretizzò in una serie di scioperi a Torino e Milano, nell’arresto di Mussolini e nella decisione del nostro Paese di firmare l’armistizio con gli anglo-americani.
La Seconda guerra mondiale ebbe sulla nostra società effetti diversi e ben più devastanti rispetto alla prima: durante il precedente conflitto ad essere direttamente coinvolte erano, tutto sommato, solo le truppe al fronte; in questo caso invece, a causa dei bombardamenti aerei, della fame e dello svolgersi della guerra sul territorio nazionale, la popolazione patì tanto quanto i combattenti.
Figure di spicco della Resistenza montebellunese sono stati Toni Colognese e Romolo Pellizzari.
La guerra fin dall’inizio, fu per l’Italia, una serie di insuccessi, ai quali, nella prima fase del conflitto, corse a porre rimedio la Germania, con il risultato però di rendere Mussolini un vero e proprio vassallo di Hitler. Dal 1942, tuttavia, anche l’esercito tedesco iniziò a registrare numerose sconfitte, e questo si ripercosse sul regime del Duce che in Italia si ritrovò ormai avversato non solo in vasti strati della popolazione ma anche ai vertici delle istituzioni, sia del fascismo stesso che della monarchia. Questo generale malcontento si concretizzò in una serie di scioperi a Torino e Milano, nell’arresto di Mussolini e nella decisione del nostro Paese di firmare l’armistizio con gli anglo-americani.
La Seconda guerra mondiale ebbe sulla nostra società effetti diversi e ben più devastanti rispetto alla prima: durante il precedente conflitto ad essere direttamente coinvolte erano, tutto sommato, solo le truppe al fronte; in questo caso invece, a causa dei bombardamenti aerei, della fame e dello svolgersi della guerra sul territorio nazionale, la popolazione patì tanto quanto i combattenti.
Figure di spicco della Resistenza montebellunese sono stati Toni Colognese e Romolo Pellizzari.
Nella foto: I due carri armati tedeschi, del tipo Tigre, danneggiati dalla squadra d’assalto della brigata “Nuova Ita-lia”il 3 aprile 1945 all’interno dell’albergo “Corona” (ora Negozi Mazzocato).I componeneti del gruppo d’assalto(Rodato Fausto -Zannin Carlo - Zavarise Alfonso - Pivato Sisto) furono decorati al Valor Militare.
Il secondo
dopoguerra
L’Italia si ritrovò, all’indomani di cinque anni di guerra, profondamente prostrata: gli indici di produzione erano diminuiti di circa 70% nell’industria e di circa 40% nell’agricoltura, vi era un’inflazione galoppante e i salari reali erano diminuiti del 50-60% rispetto al 1938. Ma nonostante queste condizioni drammatiche, era diffusa tra la gente una profonda vitalità che spronava tutti ad arrangiarsi e a ricominciare con qualche mezzo.
La fine del Fascismo vide la creazione della repubblica e l’affermarsi di una democrazia che, per la prima volta, rese veramente tutti partecipi, donne comprese, configurandosi come espressione compiuta di una società di massa. Questi furono gli anni in cui si costituirono i partiti che domineranno la vita politica nazionale per quasi mezzo secolo; si crea infatti una situazione, che permarrà immutata fini agli anni ‘90, che vede la DC al potere e il PCI all’opposizione.
Gli anni della ricostruzione, fino al 1953, furono un buon periodo per l’industria: vi era una consistente richiesta di beni distrutti dalla guerra e le grandi aziende ne approfittarono per rinnovarsi e razionalizzare la produzione, adottando nuove tecniche manageriali provenienti dagli Stati Uniti. Un altro vantaggio si prospettò nella collaborazione tra Italia, Germania, Francia e Benelux per gettare le basi dell’unificazione europea sia economica che politica; tuttavia molti industriali di scarse vedute, abituati ai benefici che ricavavano dai dazi d’importazione, considerarono con diffidenza quest’iniziativa.
Uno dei problemi più pressanti che il Governo dovette affrontare fu quello della questione meridionale. I due provvedimenti presi, nel tentativo di sanare finalmente lo storico squilibrio fra Nord e Sud, furono l’istituzione di una Cassa per il Mezzogiorno e la riforma agraria del 1950.
L’era democristiana nel distretto di Montebelluna
Con le prime amministrative del 1948 inizia un lungo periodo durante il quale i comuni del Distretto sono amministrati dalla Democrazia Cristiana che conquista quasi ovunque la maggioranza assoluta. Le prime legislature vedono le amministrazioni impegnate nell’opera di ricostruzione; i settori nei quali si concentrano gli interventi sono quelli dei servizi primari: strade, acquedotti, scuole, illuminazione pubblica.
Il settore edilizio si sviluppa in modo alquanto disordinato: non esistono piani regolatori e tanto meno norme per gli insediamenti industriali. Tutto cresce alla rinfusa: i laboratori sorgono a ridosso della casa, oppure l’abitazione sopra gli uffici del nuovo capannone.
L’imperativo categorico è creare posti di lavoro; tutto il resto (uso corretto del territorio, rispetto delle norme di sicurezza, condizioni di igiene) è tenuto in scarsa considerazione.
L’Italia si ritrovò, all’indomani di cinque anni di guerra, profondamente prostrata: gli indici di produzione erano diminuiti di circa 70% nell’industria e di circa 40% nell’agricoltura, vi era un’inflazione galoppante e i salari reali erano diminuiti del 50-60% rispetto al 1938. Ma nonostante queste condizioni drammatiche, era diffusa tra la gente una profonda vitalità che spronava tutti ad arrangiarsi e a ricominciare con qualche mezzo.
La fine del Fascismo vide la creazione della repubblica e l’affermarsi di una democrazia che, per la prima volta, rese veramente tutti partecipi, donne comprese, configurandosi come espressione compiuta di una società di massa. Questi furono gli anni in cui si costituirono i partiti che domineranno la vita politica nazionale per quasi mezzo secolo; si crea infatti una situazione, che permarrà immutata fini agli anni ‘90, che vede la DC al potere e il PCI all’opposizione.
Gli anni della ricostruzione, fino al 1953, furono un buon periodo per l’industria: vi era una consistente richiesta di beni distrutti dalla guerra e le grandi aziende ne approfittarono per rinnovarsi e razionalizzare la produzione, adottando nuove tecniche manageriali provenienti dagli Stati Uniti. Un altro vantaggio si prospettò nella collaborazione tra Italia, Germania, Francia e Benelux per gettare le basi dell’unificazione europea sia economica che politica; tuttavia molti industriali di scarse vedute, abituati ai benefici che ricavavano dai dazi d’importazione, considerarono con diffidenza quest’iniziativa.
Uno dei problemi più pressanti che il Governo dovette affrontare fu quello della questione meridionale. I due provvedimenti presi, nel tentativo di sanare finalmente lo storico squilibrio fra Nord e Sud, furono l’istituzione di una Cassa per il Mezzogiorno e la riforma agraria del 1950.
L’era democristiana nel distretto di Montebelluna
Con le prime amministrative del 1948 inizia un lungo periodo durante il quale i comuni del Distretto sono amministrati dalla Democrazia Cristiana che conquista quasi ovunque la maggioranza assoluta. Le prime legislature vedono le amministrazioni impegnate nell’opera di ricostruzione; i settori nei quali si concentrano gli interventi sono quelli dei servizi primari: strade, acquedotti, scuole, illuminazione pubblica.
Il settore edilizio si sviluppa in modo alquanto disordinato: non esistono piani regolatori e tanto meno norme per gli insediamenti industriali. Tutto cresce alla rinfusa: i laboratori sorgono a ridosso della casa, oppure l’abitazione sopra gli uffici del nuovo capannone.
L’imperativo categorico è creare posti di lavoro; tutto il resto (uso corretto del territorio, rispetto delle norme di sicurezza, condizioni di igiene) è tenuto in scarsa considerazione.