Prefazione
Fin dalla sua nascita il Museo dello Scarpone e della Calzatura Sportiva si è posto l’obbiettivo di custodire la memoria storica non solo di un prodotto ma dell’intero distretto.
A causa dell’esiguità degli spazi a disposizione in Villa Zuccareda, non è stato possibile sviluppare che in minima parte gli aspetti culturali e sociali della nostra comunità; a tali lacune abbiamo dunque cercato di rimediare con quest’opera, che vuole essere non solo un Catalogo di foto e documenti sul settore calzaturiero, ma anche una Guida attraverso la storia del distretto montebellunese che, in duecento anni, si è trasformato da un insieme di villaggi di campagna in un centro mondiale della calzatura sportiva.
Il libro è diviso in tre parti.
La prima parte tratta delle condizioni che hanno permesso lo sviluppo della società calzaturiera a Montebelluna e cioè:
- il mercato che, con la sua funzione di collegamento tra pianura e montagna, ha dato il via ad un sodalizio tra scarperi da un lato e boscaioli e montanari dall’altro, i primi in qualità di produttori, i secondi di clienti;
- la presenza della piccola proprietà, che ha favorito il senso di intraprendenza e di autonomia che sono alla base di qualsiasi iniziativa imprenditoriale;
- il Montello, un bosco che ha rappresentato “le radici”, per generazioni di boscaioli, ed in particolare il suo frazionamento, che ha ulteriormente contribuito alla creazione di tanti piccoli proprietari;
- la tradizione veneziana, che ha infuso nella nostra società contadina un senso estetico che si trasformerà poi in gusto per il design e per il colore, elementi che qualificano e rendono uniche le calzature Montebellunesi
- il fenomeno dell’emigrazione, che ha visto molti Montebellunesi lasciare il proprio paese per tornare con capitali più o meno consistenti da investire nell’acquisto di terra o nella creazione di nuove imprese artigianali.
La seconda parte traccia la storia dell’evoluzione del distretto, di come i calzolai abbiano iniziato ad aprire i primi laboratori, di come abbiano cominciato a fabbricare scarpe da montagna e infine di come Montebelluna, attraverso una serie di diversificazioni produttive, si sia specializzata a far scarpe praticamente in ogni settore dello sport e del tempo libero sempre in consonanza con l’evolversi della società, dei gusti e della moda.
La terza parte, comprende una serie di schede sulle aziende più significative del distretto.
Vorrei ora fare alcune considerazioni sul sistema usato per la stesura dell’opera, in modo da rendere più chiare alcune scelte di carattere metodologico.
L’elemento che balza subito all’occhio è la cospicua presenza di nomi, date, documenti e testimonianze, spesso apparentemente poco legati tra loro; ho compiuto questa scelta, pur conscio dell’aspetto di disomogeneità che avrebbe potuto conferire all’opera, per far risaltare che la storia del distretto è una storia corale, alla quale hanno concorso tanti individui e non solo pochi grandi protagonisti.
Per un discorso analogo, e questa è la seconda considerazione, le parti narrative occupano uno spazio ridotto nell’economia dell’opera e sono limitate agli avvenimenti nazionali o alle introduzioni. Ho invece dato prevalenza a stringate cronologie, preferendo lasciar parlare gli attori delle varie vicende. Questo perché volevo che la storia non fosse raccontata, a mo’ di testo scolastico, da un autore che legasse, spesso con nessi forzati, gli accadimenti e che omogeneizzasse con il suo linguaggio le testimonianze di coloro che quei fatti hanno vissuto. Ho voluto invece che la storia fosse raccontata dagli attori e spettatori diretti, così da mostrare anche il grado di consapevolezza che i protagonisti avevano delle situazioni che stavano vivendo.
Il filo conduttore dell’opera è una costante riflessione di come siamo cambiati in questi due secoli e di come questo mutamento abbia portato conseguenze, indubbiamente anche negative, ma soprattutto positive. Questo aspetto ci tengo a sottolinearlo dato che in tempi di crisi si è tentati di guardare al passato come dei laudatores temporis acti, rimpiangendo i bei tempi andati e considerando sotto sotto ogni evoluzione (economica, tecnologica, di costume, etc...) più come una perdita che come una conquista.
Se i nostri bisnonni per sortilegio ritornassero in vita troverebbero un mondo incomprensibile e stenterebbero addirittura a riconoscere il paese in cui sono vissuti. Dal 1872, infatti, il territorio è radicalmente mutato: il bosco Montello è scomparso e dove un tempo crescevano milioni di roveri e castagni, oggi è il regno della infestante acacia.
Il Vecchio Mercato che si svolgeva sopra il colle, fatto di bizzarre botteghe di legno, oggi non esiste più; al suo posto c’è una piazzetta trascurata e alcuni edifici anonimi. In quanto alle ville, oltre ad aver perso parte del loro splendore, non sono più dimore di patrizi veneti ma, quando non giacciono abbandonate, sono sede di musei o di enti pubblici.
Ma più di questo, credo che ciò che colpirebbe immediatamente il nostro antenato sarebbe il numero impressionante delle comodità, un tempo inesistenti o riservate a pochissimi, che oggi sono invece alla portata di tutti. L’acqua in casa, la luce, il riscaldamento, un frigorifero pieno di ogni ben di Dio... Che differenza rispetto a un secolo fa, quando il solo procurarsi una fetta di polenta costituiva un problema!
E che dire dei rapporti con il mondo esterno? Nel 1821 a Montebelluna c’era un solo forestiero e uscire dal proprio paese per recarsi in luoghi lontani era un avvenimento eccezionale. Oggi vi sono migliaia di persone che quotidianamente vanno a lavorare a Treviso o a Venezia, o che nell’arco di una giornata si recano a Milano o a Roma; in occasione dell’ISPO a Monaco, centinaia di Montebellunesi riempiono gli stand e intrattengono rapporti con compratori provenienti da tutte le parti del mondo.
Caso emblematico di tanti mutamenti è il cambiamento di destinazione di villa Pisani, per secoli residenza di dogi, ospedale militare durante la prima guerra mondiale: fino al 1970 vi abitavano i missionari della Consolata che reclutavano i ragazzi con lo scopo di andare un giorno a convertire gli africani; oggi senegalesi e marocchini vi si riuniscono per celebrare i loro riti musulmani.
Come quarta e ultima considerazione, vorrei suggerire una delle tante chiavi di lettura dell’opera; mi soffermo su questa non perché essa incarni l’ottica principale con cui il libro è stato scritto, ma perché mi sembra particolarmente interessante e curiosa. Le testimonianze e i documenti presenti contraddicono alcuni luoghi comuni, alcuni di antica data, altri tornati in auge negli ultimi tempi e usati per scopi propagandistici.
Innanzitutto il mito dell’unità celtica, spesso usato a conforto della tesi che vede le genti della Padania unite da vincoli atavici; in realtà la storia ci dimostra il contrario, e cioè che i Paleoveneti erano alleati dei Romani contro i Celti.
Il secondo è quello dei meriti della Serenissima; Venezia, non dobbiamo dimenticarlo, si è comportata da potenza colonizzatrice, impadronendosi del bosco Montello e trasformando i “Bisnenti” in “ladri” di ciò che in realtà apparteneva loro.
Il terzo mito è quello, venato di nostalgia, dell’Austria felix. Quello della dominazione austriaca è stato invece un periodo che tutte le connotazioni può avere tranne quella di “felice”: mortalità infantile del 50%, disoccupazione e fame ricorrenti, tassazione elevatissima, malattie endemiche, specie la pellagra che colpiva il 20% della popolazione. E’ da ricordare, a titolo esemplificativo, il colera del 1836, durante il quale i Montebellunesi vennero addirittura sequestrati in casa!
Infine il mito del Veneto gran lavoratore quasi per caratteristiche impresse nei suoi geni. Ecco invece le opinioni dell’on. G.B. Andrea Secco nel 1876 sui boscaioli del Montello:
“Abituati alla vita direi nomade e avventurosa del predone di legna, abituati a lavorare come, dove e quando a loro piaccia, non curanti che di eludere la vigilanza dei guardiani, se sono in molti pronti a batterli; se credono di poterli vincere, essi non rinunciano a poterli vincere finché c’è il loro bosco, nemmeno per idea.”
Questo giudizio che riguarda i nostri nonni non assomiglia molto a quello col quale certi veneti di oggi definiscono gli zingari o i foresti provenienti da paesi in via di sviluppo?
Conoscere il passato è importante per ogni società, è un bisogno essenziale della vita e dello spirito di ogni uomo. Certo, oggi abbiamo accantonato l’illusione che la storia sia maestra di vita. Tuttavia, pur non dandoci ricette preconfezionate per vivere felici, la storia ci può aiutare ad agire e a scegliere con più consapevolezza. E’ vero che ogni generazione aspira a compiere “le sue scelte” ma, ignorando il passato, rischia di ripetere gli stessi errori della precedente.
Sarebbe già un grande risultato se leggendo questo libro (in particolare i miei concittadini del distretto), che oggi sono lievemente euforici per i meritati successi ottenuti attraverso un duro lavoro, fossero presi da alcuni dubbi: siamo davvero migliori degli altri? Girando la ruota della Fortuna, non rischiamo, anche in tempi brevi, di ritrovarci in posizioni meno elevate di quelle attuali? Non possediamo forse del nostro passato conoscenze piuttosto deformate, appartenenti più al mito che alla storia?
Non c’è da scandalizzarsi se, guardando indietro, indossiamo occhiali deformanti; nonostante tutti gli sforzi per essere oggettivi, la storia è sempre più o meno involontariamente manipolata e trasformata.
Se questo mio libro aiuterà ad essere un pochino più coscienti e a cercare di passare dal mito alla storia, non avrò speso inutilmente il mio tempo per scriverlo, né il lettore il suo per leggerlo.
Ringrazio tutti i soci del Museo dello Scarpone che mi hanno fornito suggerimenti, testimonianze e materiale vario. Un particolare riconoscimento di gratitudine alla Banca Popolare Asolo e Montebelluna che ci ha permesso la pubblicazione di una parte dei dati del Rapporto Osem da essa promosso, e alla Camera di Commercio Industria e Agricoltura di Treviso che ha sponsorizzato la pubblicazione dell’opera.
Prof. Aldo Durante
Direttore del Museo dello Scarpone
e della Calzatura Sportiva
Montebelluna, 14 novembre 1996
Hanno collaborato:
A causa dell’esiguità degli spazi a disposizione in Villa Zuccareda, non è stato possibile sviluppare che in minima parte gli aspetti culturali e sociali della nostra comunità; a tali lacune abbiamo dunque cercato di rimediare con quest’opera, che vuole essere non solo un Catalogo di foto e documenti sul settore calzaturiero, ma anche una Guida attraverso la storia del distretto montebellunese che, in duecento anni, si è trasformato da un insieme di villaggi di campagna in un centro mondiale della calzatura sportiva.
Il libro è diviso in tre parti.
La prima parte tratta delle condizioni che hanno permesso lo sviluppo della società calzaturiera a Montebelluna e cioè:
- il mercato che, con la sua funzione di collegamento tra pianura e montagna, ha dato il via ad un sodalizio tra scarperi da un lato e boscaioli e montanari dall’altro, i primi in qualità di produttori, i secondi di clienti;
- la presenza della piccola proprietà, che ha favorito il senso di intraprendenza e di autonomia che sono alla base di qualsiasi iniziativa imprenditoriale;
- il Montello, un bosco che ha rappresentato “le radici”, per generazioni di boscaioli, ed in particolare il suo frazionamento, che ha ulteriormente contribuito alla creazione di tanti piccoli proprietari;
- la tradizione veneziana, che ha infuso nella nostra società contadina un senso estetico che si trasformerà poi in gusto per il design e per il colore, elementi che qualificano e rendono uniche le calzature Montebellunesi
- il fenomeno dell’emigrazione, che ha visto molti Montebellunesi lasciare il proprio paese per tornare con capitali più o meno consistenti da investire nell’acquisto di terra o nella creazione di nuove imprese artigianali.
La seconda parte traccia la storia dell’evoluzione del distretto, di come i calzolai abbiano iniziato ad aprire i primi laboratori, di come abbiano cominciato a fabbricare scarpe da montagna e infine di come Montebelluna, attraverso una serie di diversificazioni produttive, si sia specializzata a far scarpe praticamente in ogni settore dello sport e del tempo libero sempre in consonanza con l’evolversi della società, dei gusti e della moda.
La terza parte, comprende una serie di schede sulle aziende più significative del distretto.
Vorrei ora fare alcune considerazioni sul sistema usato per la stesura dell’opera, in modo da rendere più chiare alcune scelte di carattere metodologico.
L’elemento che balza subito all’occhio è la cospicua presenza di nomi, date, documenti e testimonianze, spesso apparentemente poco legati tra loro; ho compiuto questa scelta, pur conscio dell’aspetto di disomogeneità che avrebbe potuto conferire all’opera, per far risaltare che la storia del distretto è una storia corale, alla quale hanno concorso tanti individui e non solo pochi grandi protagonisti.
Per un discorso analogo, e questa è la seconda considerazione, le parti narrative occupano uno spazio ridotto nell’economia dell’opera e sono limitate agli avvenimenti nazionali o alle introduzioni. Ho invece dato prevalenza a stringate cronologie, preferendo lasciar parlare gli attori delle varie vicende. Questo perché volevo che la storia non fosse raccontata, a mo’ di testo scolastico, da un autore che legasse, spesso con nessi forzati, gli accadimenti e che omogeneizzasse con il suo linguaggio le testimonianze di coloro che quei fatti hanno vissuto. Ho voluto invece che la storia fosse raccontata dagli attori e spettatori diretti, così da mostrare anche il grado di consapevolezza che i protagonisti avevano delle situazioni che stavano vivendo.
Il filo conduttore dell’opera è una costante riflessione di come siamo cambiati in questi due secoli e di come questo mutamento abbia portato conseguenze, indubbiamente anche negative, ma soprattutto positive. Questo aspetto ci tengo a sottolinearlo dato che in tempi di crisi si è tentati di guardare al passato come dei laudatores temporis acti, rimpiangendo i bei tempi andati e considerando sotto sotto ogni evoluzione (economica, tecnologica, di costume, etc...) più come una perdita che come una conquista.
Se i nostri bisnonni per sortilegio ritornassero in vita troverebbero un mondo incomprensibile e stenterebbero addirittura a riconoscere il paese in cui sono vissuti. Dal 1872, infatti, il territorio è radicalmente mutato: il bosco Montello è scomparso e dove un tempo crescevano milioni di roveri e castagni, oggi è il regno della infestante acacia.
Il Vecchio Mercato che si svolgeva sopra il colle, fatto di bizzarre botteghe di legno, oggi non esiste più; al suo posto c’è una piazzetta trascurata e alcuni edifici anonimi. In quanto alle ville, oltre ad aver perso parte del loro splendore, non sono più dimore di patrizi veneti ma, quando non giacciono abbandonate, sono sede di musei o di enti pubblici.
Ma più di questo, credo che ciò che colpirebbe immediatamente il nostro antenato sarebbe il numero impressionante delle comodità, un tempo inesistenti o riservate a pochissimi, che oggi sono invece alla portata di tutti. L’acqua in casa, la luce, il riscaldamento, un frigorifero pieno di ogni ben di Dio... Che differenza rispetto a un secolo fa, quando il solo procurarsi una fetta di polenta costituiva un problema!
E che dire dei rapporti con il mondo esterno? Nel 1821 a Montebelluna c’era un solo forestiero e uscire dal proprio paese per recarsi in luoghi lontani era un avvenimento eccezionale. Oggi vi sono migliaia di persone che quotidianamente vanno a lavorare a Treviso o a Venezia, o che nell’arco di una giornata si recano a Milano o a Roma; in occasione dell’ISPO a Monaco, centinaia di Montebellunesi riempiono gli stand e intrattengono rapporti con compratori provenienti da tutte le parti del mondo.
Caso emblematico di tanti mutamenti è il cambiamento di destinazione di villa Pisani, per secoli residenza di dogi, ospedale militare durante la prima guerra mondiale: fino al 1970 vi abitavano i missionari della Consolata che reclutavano i ragazzi con lo scopo di andare un giorno a convertire gli africani; oggi senegalesi e marocchini vi si riuniscono per celebrare i loro riti musulmani.
Come quarta e ultima considerazione, vorrei suggerire una delle tante chiavi di lettura dell’opera; mi soffermo su questa non perché essa incarni l’ottica principale con cui il libro è stato scritto, ma perché mi sembra particolarmente interessante e curiosa. Le testimonianze e i documenti presenti contraddicono alcuni luoghi comuni, alcuni di antica data, altri tornati in auge negli ultimi tempi e usati per scopi propagandistici.
Innanzitutto il mito dell’unità celtica, spesso usato a conforto della tesi che vede le genti della Padania unite da vincoli atavici; in realtà la storia ci dimostra il contrario, e cioè che i Paleoveneti erano alleati dei Romani contro i Celti.
Il secondo è quello dei meriti della Serenissima; Venezia, non dobbiamo dimenticarlo, si è comportata da potenza colonizzatrice, impadronendosi del bosco Montello e trasformando i “Bisnenti” in “ladri” di ciò che in realtà apparteneva loro.
Il terzo mito è quello, venato di nostalgia, dell’Austria felix. Quello della dominazione austriaca è stato invece un periodo che tutte le connotazioni può avere tranne quella di “felice”: mortalità infantile del 50%, disoccupazione e fame ricorrenti, tassazione elevatissima, malattie endemiche, specie la pellagra che colpiva il 20% della popolazione. E’ da ricordare, a titolo esemplificativo, il colera del 1836, durante il quale i Montebellunesi vennero addirittura sequestrati in casa!
Infine il mito del Veneto gran lavoratore quasi per caratteristiche impresse nei suoi geni. Ecco invece le opinioni dell’on. G.B. Andrea Secco nel 1876 sui boscaioli del Montello:
“Abituati alla vita direi nomade e avventurosa del predone di legna, abituati a lavorare come, dove e quando a loro piaccia, non curanti che di eludere la vigilanza dei guardiani, se sono in molti pronti a batterli; se credono di poterli vincere, essi non rinunciano a poterli vincere finché c’è il loro bosco, nemmeno per idea.”
Questo giudizio che riguarda i nostri nonni non assomiglia molto a quello col quale certi veneti di oggi definiscono gli zingari o i foresti provenienti da paesi in via di sviluppo?
Conoscere il passato è importante per ogni società, è un bisogno essenziale della vita e dello spirito di ogni uomo. Certo, oggi abbiamo accantonato l’illusione che la storia sia maestra di vita. Tuttavia, pur non dandoci ricette preconfezionate per vivere felici, la storia ci può aiutare ad agire e a scegliere con più consapevolezza. E’ vero che ogni generazione aspira a compiere “le sue scelte” ma, ignorando il passato, rischia di ripetere gli stessi errori della precedente.
Sarebbe già un grande risultato se leggendo questo libro (in particolare i miei concittadini del distretto), che oggi sono lievemente euforici per i meritati successi ottenuti attraverso un duro lavoro, fossero presi da alcuni dubbi: siamo davvero migliori degli altri? Girando la ruota della Fortuna, non rischiamo, anche in tempi brevi, di ritrovarci in posizioni meno elevate di quelle attuali? Non possediamo forse del nostro passato conoscenze piuttosto deformate, appartenenti più al mito che alla storia?
Non c’è da scandalizzarsi se, guardando indietro, indossiamo occhiali deformanti; nonostante tutti gli sforzi per essere oggettivi, la storia è sempre più o meno involontariamente manipolata e trasformata.
Se questo mio libro aiuterà ad essere un pochino più coscienti e a cercare di passare dal mito alla storia, non avrò speso inutilmente il mio tempo per scriverlo, né il lettore il suo per leggerlo.
Ringrazio tutti i soci del Museo dello Scarpone che mi hanno fornito suggerimenti, testimonianze e materiale vario. Un particolare riconoscimento di gratitudine alla Banca Popolare Asolo e Montebelluna che ci ha permesso la pubblicazione di una parte dei dati del Rapporto Osem da essa promosso, e alla Camera di Commercio Industria e Agricoltura di Treviso che ha sponsorizzato la pubblicazione dell’opera.
Prof. Aldo Durante
Direttore del Museo dello Scarpone
e della Calzatura Sportiva
Montebelluna, 14 novembre 1996
Hanno collaborato:
- Lina Bertini
- Mara Bordin
- Valentina Durante
- Carla Filippin
- Barbara Lamonarca
- Stefano Parisotto
- Roberta Sartor
- Michela Saviane
- Roberta Stradiotto